disuguaglianza generazionale

Togliere diritti agli anziani non aggiunge diritti ai giovani

Leggiamo qui un post dal blog di Beppe Grillo che affronta una tematica che, come sapete, ci sta molto a cuore: la disuguaglianza generazionale.

Il mondo è sempre più anziano, esordisce Grillo (in realtà ad essere in declino demografico non è il mondo intero, ma l’Occidente, e l’Italia in modo particolare, ma ok).
Gli anziani, si sa (lo dice la scienza) sono egoisti, pensano solo ai propri interessi, e quando votano fanno disastri (avete visto la Brexit fortemente voluta e propagandata con notizie false dal nostro grande amico Farage? Ecco, colpa dei vecchi egoisti).

Abbassare l’età del voto a 16 anni, come si sta attualmente proponendo seguendo alla lettera una profezia del Vate datata non a caso 2016, non sembra abbastanza per evitare i disastri dei vecchi egoisti.
Si passa al dunque:

Una proposta, già ampiamente discussa dal filosofo ed economista belga, Philippe Van Parijs – nonché tra i più grandi sostenitori del reddito universale – potrebbe essere quella di privare il diritto di voto agli anziani, ovvero eliminare il diritto di voto ad una certa età (oppure dare ai genitori voti per procura per ciascuno dei loro figli a carico).
E’ questa la teoria per una democrazia più efficace quale garanzia di giustizia sociale del professor Van Parijs, in un articolo della rivista accademica Philosophy and Public Affairs, che ai più potrà sembrare drastica, ingiusta e insensata.

Wow. Pare dunque ci sia un Professore che pubblica articoli dall’alto valore scientifico, e in cui sostiene che il modo più efficace per garantire la giustizia intergenerazionale in democrazia sia privare gli anziani del diritto di voto!
Tutto ciò è tanto scioccante quanto falso.

Citiamo letteralmente il paper che Grillo linka al suo articolo:

Disfranchising the elderly, it thus turns out, is only one, and not exactly the most promising, of at least seven different ways in which one can imagine altering the balance of electoral power between the various age categories [1].

Eliminare i diritti civili degli anziani, come si vede, è soltanto uno, e non proprio il più promettente, di almeno sette differenti modi in cui possiamo immaginare di alterare l’equilibrio elettorale tra le varie categorie d’età.

Quello che Grillo propone nel suo articolo non ci sembra assolutamente in linea con quanto scrive il Prof. Van Parijs nel suo paper.
Non c’è niente di assurdo, ingiusto o insensato in quanto costui scrive: il paper passa in rassegna tutta la letteratura di proposte di “ingegneria istituzionale” volte a riequilibrare il rapporto tra votanti giovani e anziani, elencando e analizzando una serie di possibili misure ed esaminandone lati positivi, criticità, implicazioni sociali e morali.

Non solo: il paper di Van Parijs prende le mosse e critica, a volte con ironia, proprio un articolo degli anni ’70 di un Professore Universitario che sosteneva, lui sì in maniera piuttosto trenchant, la necessità di privare gli anziani del diritto di voto [2].

Grillo insomma fa del palese “cherry picking” da un paper scientifico (tra l’altro pubblicato nel 1998) che non suggerisce in alcun modo che privare gli anziani dei diritti politici sia l’unico modo, né il più efficace, di ottenere equità generazionale.

Ora: se, come sostiene un leitmotif piuttosto in voga, il fascino e il pericolo maggiori dei populisti stanno nel loro “offrire agli elettori risposte semplici a problemi complessi“, è evidente che dovremmo archiviare questo post nella categoria “populismo“.

Anche prendendo il messaggio per quello che è (non il tentativo di innescare un dibattito serio sull’argomento, ma una sparata volta a far starnazzare le anatre), ci pare comunque necessario aggiungere un paio di cose.


1. I diritti non sono un insieme finito

La prima obiezione che muoviamo è di natura, per così dire, logico-matematica: i diritti non sono un insieme finito, non ce n’è scarsità.
Non è mai (mai, mai, mai!) successo che per garantire diritti a chi non li aveva essi siano stati sottratti a chi li possedeva.

La fallacia logica che sottende le affermazioni di Grillo è molto chiara, e pericolosa: per dar voce ai giovani bisogna toglierla agli anziani. Una falsa dicotomia.

Lo stesso paper che viene citato per dare una parvenza di “scientificità” a quest’artificio retorico, come abbiamo visto, non stabilisce in alcun modo che l’unico modo per avere equità generazionale sia colpire gli anziani nei loro diritti. Leggere per credere.

Ma perché Grillo usa questa falsa dicotomia? E perché ha fatto tanto clamore?

Perché è esattamente quello che una parte della generazione insostenibile vuole: sentirsi dire che i giovani vogliono fargli la pelle, ammazzarli, accantonarli. Così da poter continuare a giustificare i propri comportamenti insostenibili e i propri privilegi come “autodifesa”.

Perché è esattamente quello che una parte delle nuove generazioni vuole: sentirsi dire che la loro mancanza di autonomia e di reddito è tutta colpa di mamma e papà, al limite di nonno e nonna. Così da scaricare tutte le responsabilità su qualcun altro e non dover provare nulla a sé stessi.


2. Questo modo di comunicare ci spaventa

La falsa dicotomia è uno degli strumenti retorici più utilizzati da chi vuole polarizzare il discorso. Un esempio facile facile di hate speech ce lo chiarisce meglio:

Questa particolare falsa dicotomia presuppone che negli “alberghi” dovrebbero esserci gli uni e non gli altri, senza che vi sia alcuna correlazione tra le due situazioni. Il sottinteso è che bisogna “eliminare” gli stranieri, se si vuole aiutare gli Italiani vittima del terremoto.
Una retorica disgustosa che sta funzionando piuttosto bene.

Allo stesso modo, il post di Grillo parte da dati, situazioni, problemi dolorosamente reali, per giungere a categorizzare un colpevole-bersaglio (“gli anziani irresponsabili“) rimuovendo il quale, si rimuoverebbe magicamente il problema, e giustapponendo una categoria di vittime, i “giovani” (meglio se appassionati dei video di Cicciogamer).

Ci viene dunque il sospetto che, visti gli strumenti retorici che si stanno mettendo in campo, si voglia applicare lo stesso metodo di acquisizione del consenso ad un nuovo target, i giovani, polarizzando il discorso intorno ad un problema che è reale, fin troppo reale: le disuguaglianze generazionali.


3. I privilegi, quelli sì sono un insieme finito

I privilegi sono, al contrario dei diritti, un insieme finito: se sono garantiti a un segmento di popolazione, devono essere negati a tutti gli altri, che glieli devono pagare.

Un’intera generazione di lavoratori e di imprenditori Italiani, ad esempio, è tuttora dotata di numerosi privilegi d’ogni tipo che ne sussidiano l’inefficienza, l’insostenibilità, l’inadeguatezza ai tempi.

Sarebbe secondo noi non solo possibile, ma equo rimuovere parte di questi privilegi, accumulati dagli anni ’70 ai giorni nostri da una parte della popolazione Italiana, curiosamente proprio quella che ha beneficiato di anni di politiche pubbliche fatte di prebende e sussidi finanziati in deficit.

Il problema non è l’età: il problema è, come direbbe Trilussa, che ieri uno si è mangiato due polli, un altro zero polli, ma oggi l’Oste ha presentato a entrambi il conto per un pollo a testa.

Comprendiamo certamente (come lo comprende anche il Prof. Van Parijs nel suo paper) che i privilegiati in Italia, proprio per ragioni demografiche, sono moltissimi, e votano in massa per mantenere i propri privilegi.

Tuttavia, crediamo che, da parte di un politico, abrogare quell’abominio denominato “quota cento”, per dirne una, sarebbe un segnale molto più concreto dell’intenzione di voler ristabilire un minimo di equità generazionale, piuttosto che stuzzicare con la retorica i problemi delle persone (giovani o vecchie che siano) per rastrellare qualche voto ad un partito in caduta libera nei sondaggi.


[1] Philippe Van Parijs, “The Disfranchisement of the Elderly, and Other Attempts to Secure Intergenerational Justice” in Philosophy and Public Affairs, Vol. 27, No. 4 (Autumn, 1998), p. 308.

[2] Douglas J. Stewart, “Disfranchise the Old,” in New Reputblic 29, No. 8 (1970), pp. 20-22.

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A lezione dai famigerati quattro

Siamo stati a Milano per “Liberi, oltre le illusioni”: ve lo raccontiamo

C’è stato chi, su Twitter, li ha definiti “economo-haters” e si è beccato una shitstorm di discrete proporzioni (il giornalista in questione forse aveva solo voglia di partecipare alla festa senza pagare il biglietto?). Probabilmente perché i “famigerati quattro” [Michele Boldrin, (Professore di Economia a Washington University in St Louis), Gianluca Codagnone (Managing Director di Fidentiis Equities), Costantino De Blasi (Re Value srl), Thomas Manfredi (analista OECD-OCSE)] non hanno posti di lavoro da difendere né voti da chiedere, e quindi le proprie opinioni le esprimono senza peli sulla lingua. E, aggiungeremmo, le comunicano anche estremamente bene.

I “famigerati quattro” (da sinistra: Codagnone, De Blasi, Manfredi, Boldrin) durante la “chiacchierata live” insieme a Renato Cifarelli e Alfonso Fuggetta.
Credits: Liberi, Oltre le Illusioni

Sabato 22 e Domenica 23 Giugno 2019, a Sesto San Giovanni, al raduno di “economo-hatersLiberi, oltre le illusioni c’eravamo anche noi.
Non siamo economisti, non siamo bocconiani, ma ci pare che su alcune tematiche a noi care (il discorso d’odio e la disuguaglianza generazionale su tutte) i quattro si distinguano, sul canale Youtube dove “chiacchierano” settimanalmente, per la lucidità delle vedute e per la chiarezza (a volte durezza) nell’esposizione, che rende i loro discorsi su economia, politica e finanza comprensibili anche a meno esperti.
Siamo arrivati a Sesto San Giovanni durante l’Apocalisse (grandine e qualche allagamento) e ce ne siamo andati col sole: qualcosa vorrà pur dire.

Non staremo a farvi il riassunto delle varie discussioni (12 nella prima giornata, divise in 3 Sale dell’Hotel) perché sono tutti reperibili in streaming sul Canale Youtube di Michele Boldrin. Se proprio volete, ce n’è di fatti benissimo altrove: ad esempio sul Blog “Il Caffè e l’opinione“.
Ci preme, anche ad uso e consumo della “comunità” che si sta creando attorno ai famigerati quattro, dire la nostra su cosa ci è sembrato funzionare e cosa si può migliorare.

Aspetti positivi

  1. Il prezzo del biglietto era molto basso (20 euro), e ha favorito un bell’afflusso di persone. Ciononostante, la location era eccezionale.
  2. La partecipazione di giovani è stata decisamente alta: sia tra il pubblico (a occhio, più della metà dei partecipanti era under 30) sia tra i relatori, grazie al coinvolgimento di Tortuga.
  3. La qualità dei Relatori: come sempre, gli invitati a parlare hanno dimostrato nella media un’onestà intellettuale e una competenza non comune altrove. Bello.
  4. Gli argomenti erano di estremo interesse. All’interno della vasta scelta di Panel, il più vicino alla nostra sensibilità è stato Giovani e lavoro (che vi consigliamo di ascoltare) con Elsa Fornero, durante il quale sono state dibattute non soltanto le disuguaglianze generazionali, ma anche l’hate speech e le sue conseguenze sul Paese.

Dove migliorare

  1. C’è stato poco spazio per l’interazione. Del resto i grandi numeri (inattesi) spesso costringono alla “lezione frontale”.
  2. Il ruolo dei giovani tra i relatori è stato molto “accademico”: riassuntini, introduzioni, analisi di dati. Non li abbiamo (purtroppo) percepiti come portatori di un punto di vista proprio.
  3. Molti relatori, e soprattutto i loro punti di vista, erano già noti a chi seguiva già il podcast o il canale Youtube di Boldrin&co. Si è trattato in alcuni casi di “ripetizioni” dal vivo.
  4. Discutere dei massimi sistemi in 1 ora è difficile.
    Siamo abituati al format dei “famigerati quattro” che portano il proprio punto di vista (e dati!) su eventi e dichiarazioni di strettissima attualità (tipo i minibot). Questa formula, applicata ad argomenti più vasti (disuguaglianze, fiscalità, salute mentale) ci sembra perdere molta della sua efficacia.

Ci torneremo?

Assolutamente sì. Ci ha colpito, più di tutto, la sensazione di assistere alla nascita di una comunità. Di cui non ci dispiacerebbe essere parte.

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Cosa vogliono venderti con i discorsi d’odio?

Facebook, lo sappiamo, in Italia è il veicolo principale su cui viaggiano tutti i tipi di messaggi politici retrogradi. I discorsi d’odio, certo, ma anche complottismi, notizie false, idiozie e oscenità le più disparate.
Tutte queste belle cose hanno un denominatore comune: sono specificatamente ed efficacemente targetizzate. Sono prodotte secondo una logica di marketing di tipo “pull” per sfruttare il sentiment, ovvero l’insieme di reazioni e emozioni ad un fatto o un argomento condivise sui social, di uno o più target group.
I discorsi d’odio, le fake news, le bufale complottare, non “vendono” valori o idee nuove: sfruttano quelle che ci sono già, di solito basate su stereotipi e pregiudizi, per confermare al loro “segmento di mercato” che ha ragione, che i dati non contano nulla ma valgono solo le sue percezioni individuali.
Lasciamo da parte i complotti, su cui da altre parti del web si sta scrivendo bene e con profondità (segnaliamo solo, en passant il blog di PaoloTuttoTroppo e le sue belle analisi). Andiamo a cercare di decostruire come opera e, soprattutto, cosa vuole vendere il discorso d’odio.

Un ottimo esempio

Abbiamo scelto questa vignetta condivisa su Facebook da una paginetta satirica antieuropea, per tre ragioni:

  1. Mescola con vomitevole disinvoltura discorsi d’odio, vittimismo e disinformazione.
  2. Risulta estremamente semplice e didascalica, tanto che qual è il suo target group di riferimento è anche imbarazzante doverlo scrivere.
  3. Il messaggio di fondo è palese.

Tutto questo, per quanto ci spiaccia guardarla, ci agevola nella decostruzione e dunque, in un certo senso, la nobilita.
Procediamo.

Il fatto reale e la sua percezione

Il discorso d’odio parte sempre, come detto, dalle percezioni che ha il target group scelto di fatti reali.
In questa vignetta, il fatto reale più eclatante ci sembra la crisi economica del 2008 e le sue conseguenze: il progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro e le nuove norme Europee sul pareggio di bilancio, che impediscono agli Stati membri di continuare a spendere a debito e scaricare i costi delle loro politiche sulle generazioni future. Si tratta di un fatto reale, tangibile, difficilmente discutibile: la sua interpretazione, tuttavia, richiederebbe dati, analisi, riflessioni. E invece…

I cambiamenti in atto

La percezione viene messa arbitrariamente, e con evidente fallacia logica, in correlazione con i cambiamenti in atto, che il target group non è in grado di spiegarsi.
Assistiamo quindi alla creazione di una correlazione diretta tra il fatto (la crisi) e il cambiamento (l’Unione Europea, nelle sue varie componenti: qui soprattutto l’unione monetaria, ma spesso attaccano anche quella politica).
In questo modo il target group, se non è adeguatamente informato, non riesce a interpretare il cambiamento in atto, lo associa e lo lega al fatto, e soprattutto alla sua percezione negativa (Euro=crisi… è dai bei tempi di Berlusconi che lo fanno, sti cialtroni).

Gli stereotipi del target group

Per veicolare l’associazione arbitraria tra cambiamenti in atto e percezione dei fatti reali, in questa vignetta si usa lo stereotipo puro e semplice del “giovane“, che da un lato è “problema da risolvere” (ingrato, insulta, va mantenuto), dall’altro è infantilizzato, stupido, bamboccione (ritratto più piccolo, con la faccia da ragazzino, gli occhialetti da scemo).
La condizione di ritardo dei giovani Italiani nell’autonomia economica, che anch’essa andrebbe studiata e analizzata nelle sue case e conseguenze, viene sfruttata solo nella sua “percezione” più immediata: io guadagno più di te quindi sono (almeno) meglio te.

Il target group

A questo punto ci sembra chiaro a chi si rivolge questa vignetta. Proviamo a buttare giù un profilo:
Uomo, autoctono, pelle chiara;
Over 50;
Figli a carico, in condizione di ritardo o disagio economico;
Scarse conoscenze in Economia, Politica, Relazioni Internazionali;
Stressato, preoccupato, scoraggiato (notate l’espressione affranta, la sigaretta all’angolo della bocca).
Riusciamo a quantificare un target group di questo tipo?
A occhio e croce parliamo di MILIONI di persone.
[e se si riesce a convincerne anche solo un 10%… bingo!]

Il capro espiatorio

LO STRANIERO CATTIVO a.k.a l’Europa malvagia!
Lo stereotipo più vecchio del mondo.
LO STRANIERO. LO SCONOSCIUTO. QUELLO CHE VIENE DA FUORI. LA MERKEL. JUNKER L’UBRIACONE. VENGONO A COMANDARE A CASA NOSTRA.


Qui vi proponiamo un bell’esempio, ancor più esplicativo, di variazione sul tema.
C’è tutto: complottismo sui vaccini, razzismo, vittimismo…
Nel contesto dei discorsi d’odio il “cattivone”, gira e rigira viene sempre da fuori. Sempre l’altro.
Sempre straniero.
Perché l’autoctono (l’Italiano) è il gruppo target a cui devono vendere.

Il messaggio intriso d’odio

L’Euro ci ha condannati alla povertà.

A livello meramente logico, ci sono almeno un paio cose che non vanno in questo messaggio:
1) Se dopo l’Euro siamo diventati poveri… come fa quel grand’uomo con la cravatta, che grazie alla lira faceva soldoni a palate, a mantenere il suo figlio imbelle?
2) Visto che il grande successo del padre (supponiamo negli anni 80) è stato merito della lira… per quale motivo se ne prende i meriti?
Insomma bisognerebbe approfondire… di chi è merito? Della lira o del fatto che gli Over 50 erano dei grand’uomini?
Scherzi a parte, qui non c’è un bel nulla da approfondire perché, com’è evidente, non c’è nulla di logico.
Si gioca beceramente e cinicamente sugli stati d’animo delle persone (in questo caso gli Over 50 in difficoltà economiche, con figli di venti-trent’anni a carico che non riescono ad essere autonomi), per vendergli… che cosa?

Cosa vogliono vendere

Di solito, un Partito politico. Strano, vero?
Andate solo a vedervi la data in cui è stato pubblicato il post: 26 Maggio 2019, giorno delle elezioni europee.

In cambio del tuo voto indignato, i paladini del discorso d’odio andranno (a Roma, a Bruxelles, a Cernusco sul Naviglio, dove cazzo vuoi tu) a risolvere tutti i problemi.
A sconfiggere tutti i cattivoni.
Cattivoni STRANIERI. O ROM. Meglio comunque se ben riconoscibili.
Comunque cattivoni che non sono come noi, ecco.


Guarda come mi ingozzo di Nutella! Io sì che sono come te!

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Che fine ha fatto il futuro?

Le disuguaglianze generazionali nel libro di Marina Mastropierro

Ci siamo fiondati, non appena saputo che esisteva, a leggere il libro di Marina Matropierro, Ricercatrice in Sociologia, edito da Ediesse Edizioni il 23 Maggio di quest’anno. Ci siamo fiondati perché, nonostante di disuguaglianze generazionali si inizi da qualche tempo a parlare, (un bell’esempio qui: un ottimo articolo di Valigia Blu sull’ultima umiliazione mediatica ai giovani, la stronzata del “il lavoro c’è ma i giovani non vogliono lavorare“), ci mancano ancora alcuni strumenti di base per discuterne, anche a livello di policy, con cognizione di causa. E esattamente a questo serve la Ricerca Universitaria, quando è fatta bene.

Ma procediamo con ordine…

L’incipit

In Italia si assiste alla presenza di una nuova forma di disuguaglianza: quella generazionale. Esiste una nuova classe di esclusi dal benessere e dalle opportunità del paese che si fa fatica a nominare: i giovani.

La struttura del libro

Si tratta di un libro snello (circa 150 pagine), ma pregno.
Dopo una premessa programmatica, che svela fin dall’incipit il focus dell’indagine condotta, si passa a una disamina “a volo d’uccello” delle politiche di welfare dopo il “Trentennio glorioso” (primo e secondo dopoguerra). La rottura del “patto generazionale” segna il passaggio da politiche pubbliche volte a favorire i giovani, la loro educazione e il loro reddito, per sostenere la creazione di nuovi nuclei familiari, ad enormi investimenti in politiche assistenzialistiche rivolte a individui in età matura (pre-pensionamenti) e agli anziani (Sanità).
A segnare il passaggio dell’Italia da Stato che coltiva giovani a Stato che cura vecchi sarebbero intervenuti, secondo l’Autrice, tre eventi particolarmente traumatici: i movimenti giovanili e femministi, la “seconda transizione demografica”, e lo choc petrolifero del ’73.
Dopo questa fase storica (i primi anni 70 del 1900), si assiste da un lato a una sorta di “criminalizzazione” del giovane come problema da risolvere, dall’altro a una “infantilizzazione” del giovane imbelle da attivare.
Le politiche sociali, improntate da queste belle schematizzazioni, sono analizzate con dovizia di particolari nei loro impatti desolanti sulla vita economica, culturale e politica del Belpaese.
La seconda parte si apre con un case study riguardo le politiche giovanili, i celebrati “Bollenti spiriti” della Puglia di Vendola e il loro oggettivo fallimento nel medio periodo.
In seguito alla disamina e alla restituzione delle esperienze di coloro che a quei progetti e a quelle iniziative presero parte, l’Autrice propone un “Manifesto di welfare generazionale”, strutturato sulla base dei problemi esaminati.


Cosa ci è piaciuto

  1. La Ricerca fatta bene e su problemi reali. Se hai i dati e la metodologia per interpretarli… ecco che il tuo punto di vista può acquistare una qualche credibilità. Altrimenti sono solo minibot.
  2. C’è un’ottima pars destruens. L’analisi e la decostruzione delle dinamiche politiche e sociali che hanno portato alle evidenti disuguaglianze generazionali che viviamo oggi ci sembra solida. Il case study scelto, e soprattutto le storie di quei “ragazzi e ragazze”, sono emblematiche e parlano a tutti noi.
  3. Il punto di vista. Rileggere la storia delle politiche pubbliche Italiane sul welfare come cambio di rotta (da focus sui giovani a focus sui vecchi) basato su eventi “traumatici”, ha un senso politico oltre, che scientifico, che anche noi troviamo necessario perseguire. Questa situazione di disuguaglianza è stata creata nel corso dei decenni: non è piovuta dal cielo insieme all’Euro.
  4. C’è una pars construens Tre sono le proposte di policy che avanza la Ricercatrice per ovviare alle disuguaglianze generazionali:
    – reddito minimo garantito;
    – riduzione (e regolamentazione, nel caso dei precari) dell’orario di lavoro;
    – Università gratuita.
    Al di là di quanto e come si possa essere d’accordo nel merito (non lo approfondiremo qui), ci sembrano proposte logiche e coerenti coi problemi individuati nel corso dell’analisi, e questo non possiamo che apprezzarlo. Ci piacerebbe che fossero dibattute, che se ne parlasse.

Cosa ci è piaciuto meno

Mhm… facciamo davvero fatica a muovere critiche. Diciamo che forse un po’ troppo corto?
L’analisi delle politiche pubbliche rivolte ai giovani è piuttosto puntuale e il case-study analizzato molto calzante, ma a nostro parere restano ancora tantissimi aspetti delle disuguaglianze generazionali da approfondire: a livello storico, politologico e soprattutto economico.
Speriamo vivamente che l’Autrice, e gli altri Ricercatori che con lei dialogheranno, continuino a scavare.


La citazione

[…] giovani che esprimono nuove identità lavorative, caratterizzate da una forte componente vocazionale ed espressiva. Gli ambiti produttivi interessano principalmente le dimensioni culturali, ambientali, sociali, artistiche, didattiche e pedagogiche, tecnologiche e della comunicazione, legate dunque al macrosettore della conoscenza e delle competenze ad alto contenuto umano (High skills). Sembrano essere soggetti portatori di una nuova sensibilità generazionale riconducibile al lavoro. Nello stesso tempo però le condizioni economiche e contrattuali non sono sufficienti spesso a garantire un tenore di vita autonomo, tanto è che la maggior parte di loro si definisce “precario”.

Vi ci riconoscete? Noi sì.

Concetti-chiave

Ci portiamo via, chiuso questo libro, alcuni concetti-chiave che vogliamo fare nostri e approfondire (anche con l’autrice, se vorrà):

1. Autonomia = Emancipazione
C’è un concetto su cui l’Autrice insiste, che ci trova molto d’accordo, di cui si parla e si scrive poco, e di cui la politica si occupa ancora meno: non esiste emancipazione, cioè passaggio alla vita adulta, senza autonomia. Autonomia intesa come l’insieme delle condizioni materiali di indipendenza (o meglio, di non dipendenza) dalla famiglia. Un/a giovane che, pur lavorando 8-10-12 ore al giorno, non riesce a soddisfare i propri bisogni materiali (affitto, bollette, cibo, vestiario), semplicemente non è autonomo/a. Non è choosy. Non è un bamboccione.

2. Ci vogliono “ritardati”.
Il ritardo nel conseguimento dell’autonomia da parte dei giovani Italiani non è dovuto agli individui, ma al sistema-paese che lo ritarda, spesso consapevolmente. Lavoratori ed esseri umani autonomi (leggi sopra) diventano “magicamente” sempre meno inclini ad accettare “tirocini”, “stage”, contratti precari, e soprattutto le condizioni di lavoro che li accompagnano.
Qui sta il punto: l’economia Italiana, sclerotizzata nelle logiche padronali e antistoriche di tantissime micro, piccole e medie imprese, non può permettersi che i giovani diventino autonomi. La produttività del lavoro è troppo bassa per ragioni di scarsa innovatività e anzianità (più mentale che biologica) di tantissimi imprenditori e dipendenti, e il costo del lavoro troppo alto: si è scelto (non ieri, almeno una ventina di anni fa) che a pagare la differenza dovessimo pensarci noi.

3. Non ne esci da solo/a.
C’è un paradosso di fondo che abbiamo letto tra le pagine del libro e ci ha colpito: l’autonomia non si conquista da soli. Questo perché le condizioni sociali, politiche ed economiche, cioè il framework in cui un gruppo di individui nasce e si forma, da solo non basta a creare unità generazionale, consapevolezza cioè dei propri valori e della propria forza riformatrice.
A parole nostre: in Italia, contro i giovani, è in corso una guerra. Da almeno vent’anni. E la stiamo perdendo. E la stiamo perdendo perché combattiamo ognuno per suo conto, contro un esercito schierato compatto.


Consigli per gli acquisti

Come avrete intuito, il libro noi ve lo consigliamo caldamente.
Potete acquistarlo qui su Amazon, o in qualsiasi altro store online o libreria. Costa in media 11-13 euro (più eventuali spese di spedizione) e secondo noi sono soldi ben spesi.

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Sempre di domenica

Prima delle elezioni, la situazione intorno all’equità generazionale e al contrasto al discorso d’odio si fa sempre piuttosto “calda”.
I politici, e a questo direi che siamo abituati, quando hanno bisogno di voti iniziano a strillare verso il loro gruppo target. 
Quello che, da qualche anno a questa parte, sta diventando preoccupante per noi di Eutopia, è che tanti, tantissimi, stanno strillando insulti e minacce a capri espiatori di vario tipo, per far contenti i propri potenziali elettori e soddisfare i loro stereotipi e pregiudizi.
Pensate, ad esempio, a quante se ne raccontano su/contro i giovani, alla narrazione costante sui millennials choosy e impreparati al mondo del lavoro. In TV e sui giornali, le testimonianze di “povere Aziende” che cercano lavoratori e non li trovano (perché i giovani non hanno voglia di lavorare) si moltiplicano. Noi sì che ai nostri tempi facevamo la gavetta!
La realtà, secondo noi, è semplicemente un’altra: l’Italia diventa un Paese sempre più vecchio e stanco, senza nessuna forza né intenzione di rendere migliore alcunché. Chi fa marketing politico lo sa e ci spara sopra per raccogliere consensi: guardate quanto sono cattivi questi immigrati, guardate quanto sono imbecilli questi giovani!
Pare che tutto ciò che non va nel presente sia sempre colpa di chi non piace al loro elettorato anzianotto e razzista, abituato a mangiarsi il futuro e rimasto senza più futuro da mangiare.
Ma noi resisteremo anche a quest’ondata di hate speech e di consapevoli bugie sull’Unione Europea, come anche sui giovani, sulle loro condizioni di vita e di lavoro.
E ci toccherà resistere anche a chi urla al Fascismo e alla violazione delle regole democratiche solo quando gli conviene, per guadagnare i voti impauriti di chi abbraccia i valori della convivenza civile e della solidarietà.
Siamo consapevoli che, dopo il 26 Maggio, i politici andranno ad afferrare le loro poltrone, e di tutti gli strilli che hanno affollato queste settimane non rimarrà che l’eco, pericolosa e subdola, di idee sempre più retrograde, e tecniche di marketing sempre più avanzate.
Noi, nel nostro piccolo, saremo ancora impegnati a cercare di smascherare quelle idee per ciò che sono (stereotipi e pregiudizi) e tentare di decodificare le subdole tecniche che le diffondono.

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La risposta ai nostri dubbi su “Figli costituenti”

Emanuele Pinelli, Coordinatore della Campagna, risponde ai nostri dubbi

La nostra su “Figli Costituenti“, la legge di iniziativa popolare sulla disuguaglianza generazionale per cui il partito +EUROPA sta iniziando a raccogliere firme, ve l’abbiamo già detta qui.
Poco dopo la pubblicazione del nostro post, Emanuele Pinelli, Coordinatore della Campagna “Figli Costituenti”, ci ha contattato per rispondere nel merito delle criticità che abbiamo riscontrato.

Un tentativo di “mettersi in scia” a Greta? Siamo onesti, un po’ di puzza di “giovanottismo” la si sente. Per essere più chiari, come tante altre manifestazioni di stima e fraterni abbracci di parole con la giovane attivista svedese, anche il lancio della campagna per la raccolta firme in concomitanza con la visita a Roma di Greta Thunberg desta in noi il terribile sospetto che sia l’ennesima iniziativa di marketing per strappare qualche voto ai millennials in vista delle Europee. Del resto, la corsa ai “giovani”, questi poveri disgraziati di cui tutti fanno finta di interessarsi finché gli conviene, sta passando da Greta per tanti: Partiti Politici e Istituzioni Pubbliche in primis, ma anche tante Organizzazioni Non Governative.

E. Pinelli: non ci serve il voto giovanile per il semplice fatto che ce l’abbiamo già. Più Europa è un partito dall’età media molto bassa, sia come iscritti sia come followers e simpatizzanti.
Che la narrazione dei media sul fenomeno Greta sia ingannevole e controproducente l’ho spiegato in un mio articolo su Formiche, che vi riporto: https://formiche.net/2019/03/greta-ambiente-ambientalismo-clima/


Le leggi di iniziativa popolare non funzionano. Un giretto su Wikipedia, se proprio non abbiamo tempo di riaprire la Costituzione, può farci capire molte cose. Vi sottolineiamo un passaggio: “Nella legge nazionale che disciplina la materia non è mai stato inserito un termine massimo entro cui portare in discussione una proposta di iniziativa popolare“. Ciò significa, in parole povere, che anche se +EUROPA riuscisse a raccogliere le firme necessarie a portare la proposta di legge in Parlamento, sarebbe comunque necessario che un numero congruo di Onorevoli si attivasse per metterla all’Ordine del Giorno. E da lì in poi molte cose potrebbero succedere… come ad esempio che venga approvata così com’è a maggioranza, o totalmente stravolta, o ancora… che venga bocciata e non se ne parli più.

E. Pinelli: stiamo ricorrendo alla campagna d’iniziativa popolare perché per tutta la scorsa legislatura avevamo già provato a spingere la riforma per vie parlamentari. A parte i leghisti, che chiesero fin da subito “Ma questa riforma non ci farebbe fare quota 100?” e si tirarono indietro, tutti gli altri, da Grillo alla Meloni, lì per lì firmarono e si presero l’impegno, salvo poi scomparire nel nulla e fare finta di niente.


L’apposita Commissione Parlamentare prevista dalla Legge di iniziativa popolare di +EUROPA sarebbe manipolabile o ignorabile dal Governo in carica, proprio come tutte le altre Commissioni. Avete presente le recenti Leggi di Bilancio tragicomiche emanate dal Governo del Cambiamento, e la relativa DEF (Documentazione Economica Finanziaria) ridicola che ogni volta le accompagna? Ecco: per forza o per amore, la Commissione Bilancio ogni volta le approva. Dobbiamo aggiungere altro?

E. Pinelli: siamo consapevoli che alla fine il “boccino d’oro” ce l’abbiano i partiti più rappresentati in Parlamento, ma questa iniziativa serve, per l’appunto, a metterli con le spalle al muro, convincendoli a sostenerla o smascherando tutte le loro recenti e miracolose conversioni ecologiste.


Oltre a ringraziare Emanuele per l’attenzione e per la sollecitudine a risponderci in maniera molto cordiale e disponibile, speriamo che questo piccolo scambio possa aiutare i nostri Soci e affezionati a prendere una posizione su questa campagna che, pur rimanendo con alcuni dubbi, continuiamo a trovare positiva.

La risposta ai nostri dubbi su “Figli costituenti” Read More »

Report EUROFOUND: le disuguaglianze generazionali a livello Europeo

Un mese fa (il 9 Febbraio 2019), EUROFOUND ha pubblicato un nuovo Report intitolato “Age and quality of life: who are the winners and losers?” (in italiano: Età e qualità della vità: chi vince e chi perde), con l’obiettivo di indagare le disuguaglianze generazionali partendo dai dati 2016 del EQLS (European Quality of Life Survey), comparandoli con quelli del 2011 per ottenere un quadro dei cambiamenti in atto.

Cos’è EUROFOUND

EUROFUND è la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

Diretta emanazione dell’Unione Europea, nasce con l’obiettivo di mettere a disposizione le conoscenze necessarie a contribuire allo sviluppo di migliori politiche sociali, occupazionali e relative al lavoro, soprattutto a quei bricconcelli dei Governi, Istituzioni e Parti Sociali dei Paesi Membri dell’UE (tra cui il nostro).

Va da sé che quando EUROFUND pubblica un Report, i primi a leggerlo e tenerne conto dovrebbero essere proprio coloro che governano: in quanto l’Agenzia è finanziata da loro proprio per questo scopo.

Eppure, dato che i Report di EUROFOUND, in media, ai nostri politici non piacciono (in generale, come tutto ciò che è scientifico e non consente di incolpare allegramente migranti, Merkel, fantomatici “poteri forti”, ecc.), raramente ne sentirete parlare anche sui Giornali.

In particolare questo report sulle disuguaglianze generazionali, argomento tabù nel nostro Paese soprattutto nelle Istituzioni e nelle Parti Sociali, è passato pressoché inosservato.

Più facile e più conveniente, per la nostra classe politica, farsi portatrice degli interessi e delle istanze dei moltissimi vecchi retrogradi che votano, e usare bastone e carota con quei poveri, stupidi “millennials”, che da un lato sono pigri e inetti e quindi gli va concesso il reddito di cittadinanza, dall’altro però quando sono bravi “scappano” per andare a portare le loro competenze altrove, e neanche questo ci piace: dovrebbero restare a fare qualche tirocinio. A volte un lapsus fa capire molte cose (vero Giggino?).

Noi, invece, che questo Report ce lo siamo letto, intanto ve lo linkiamo. E vi raccontiamo due o tre cosette che abbiamo scoperto leggendolo.

Due o tre cosette

METODOLOGIA

La premessa metodologica: lo studio pubblicato da EUROFOUND si basa, come detto, dai sondaggi di opinione EQLS, pubblicati nel 2016, nell’ambito dei quali sono stati intervistati individui maggiorenni di tutta Europa tramite questionario strutturato, a risposta multipla.

Vengono esaminati cinque aspetti principali, e trasversali, dei gruppi d’età presi in esame:

  • le difficoltà economiche;
  • la partecipazione politica;
  • l’esclusione sociale percepita;
  • la salute mentale;
  • la soddisfazione di vita.

Le fasce d’età prese in considerazione sono state: 18-34 anni; 35-44 anni; 45-54 anni; 55-64 anni; 65-65 anni; over 70.

 Gli Stati Membri vengono anch’essi divisi per gruppi, come da figura:

L’Italia, come notate, è inserita nel gruppo “Mediterraneo“, insieme a Cipro, Grecia, Malta, Portogallo e Spagna. Tolte le fortissime peculiarità di Cipro (un Paese Membro che è politicamente diviso de facto in due Entità distinte e perciò in perenne tensione sociale), e forse Malta per ragioni di scala, le similitudini economiche, sociali e demografiche con gli altri tre Paesi membri, Grecia, Portogallo e Spagna, sembrano calzare più che bene. I quattro Paesi formano un bel gruppo di maialini (PIGS).

 MAIN FINDINGS

Il primo dato macroscopico segnalato dal Report è l’esistenza di una cortina di ferro all’interno del Continente, che divide situazioni tra di loro agli antipodi: in Europa Occidentale, le giovani generazioni hanno una qualità della vita decisamente inferiore a quella delle generazioni precedenti. In Europa Orientale è vero l’esatto opposto.

  1. Difficoltà economiche: in Europa occidentale decrescono solo dopo la mezza età, mentre tendono a crescere dopo la pensione in Europa Orientale.
  2. Esclusione Sociale: in Europa Occidentale e nel Mediterraneo, sentirsi socialmente esclusi aumenta costantemente fino alla mezza età.
  3. La partecipazione politica aumenta fino alla mezza età per poi gradualmente scedere, in tutti i Paesi dell’Unione.
  4. La salute mentale tende a crescere con l’avanzare degli anni solo negli Stati del Nord e nelle Isole, mentre decresce con l’età in tutti gli altri gruppi di Paesi, con particolare menzione per Bulgaria e Romania, dove gli anziani segnalano un rischio di depressione altissimo.

LE RACCOMANDAZIONI

Il Report segnala con molta dovizia (e i dati lo raccontano con freddezza) il problema di un Est Europa post-comunista in cui i lavoratori di ieri sono diventati i reietti di oggi, privi di prospettive e servizi, e con pensioni incongruenti con il costo della vita di un’economia capitalista. Questa conclusione (non nuova), fa il paio con l’invito ai Paesi Membri che soffrono di questi problemi a mettere in campo sistemi di supporto (welfare) per le vecchie generazioni in difficoltà oggettiva in termini economici, di salute mentale e di inclusione sociale, prendendo esempio dalle loro controparti dell’Ovest.

Quando però arriviamo all’altra disuguaglianza, quella che penalizza i giovani, e che riguarda una buona fetta degli Stati Occidentali e in particolare l’area Mediterranea, si ha onestamente l’impressione che nemmeno chi segnala il problema abbia idea di che pesci pigliare.

Nonostante nel Report si riconosca e si sottolinei a più riprese che le “older generations” abbiano goduto di condizioni di vita e di lavoro più favorevoli rispetto a quelle dei giovani, le raccomandazioni proposte sono:

  1. Un generico appello al Legislatore a tenere in considerazione l’equità generazionale nell’atto di stendere i provvedimenti di legge;
  2. La proposta di un “contratto sociale” tra le generazioni che sia bilaterale. E qui, al di là del riconoscimento implicito dello sbilanciamento evidentissimo in favore degli anziani dell’attuale contratto sociale, null’altro viene proposto;
  3. Prendere in considerazioneil problema della casa per i giovani dell’Europa Occidentale, poiché non avere i mezzi per comprare un’abitazione di proprietà contribuisce ad una peggiore qualità della vita.

Il nostro commento

Per quanto riguarda la tematica che ci sta a cuore, ovvero le disuguaglianze economiche e sociali che rendono pressoché impossibile ai giovani Italiani di guardare al futuro con fiducia, dobbiamo essere onesti: questo Report, pur fotografando la situazione, ci dice ben poco di nuovo.

Si tratta pur sempre di un Report di diretta emanazione dell’Unione. Bisogna dunque tener presente che il suo focus è, non potrebbe essere altrimenti, sui 28 Paesi e non sull’Italia. In questo contesto, l’accento forte posto sulla situazione drammatica di molti anziani in Bulgaria e Romania risulta comprensibilissimo: dal pool di dati, essa emerge con forte e preoccupante evidenza.

Avremmo però apprezzato un piccolo sforzo d’immaginazione a livello di raccomandazioni ai policy-maker: se per gli anziani qualche soluzione è proposta, non è vero il contrario, per le politiche giovanili tutto è molto, molto generico.

Come se importasse meno. O come se (e forse è proprio questo il caso), essendo l’equità generazionale argomento politico molto “divisivo” in certi Paesi (“a morte la Fornero, viva quota centoooooooo” gridano in coro giornali e politicanti nostrani) gli autori non abbiano voluto affondare il colpo.

Approfondire

In ogni caso, come ogni Report che non sia una cazzata clamorosa creata per scopi politici (vi linkiamo un caso molto recente di debuking, da parte del Professor Boldrin, della bufala pseudo-scientifica sull’Euro messa in giro ad arte), questo di EUROFOUND sulle disuguaglianze generazionali è basato su dati pubblici e aperti, che potete cioè analizzare per vostro conto, se avete voglia, disaggregati e anche su base Nazionale, qui: https://www.eurofound.europa.eu/data/european-quality-of-life-survey.

In figura vi riportiamo una schermata della piattaforma: è semplice da maneggiare (anche se un po’ lenta a caricare), perché integrata con strumenti di visualizzazione grafica ed offre una buona panoramica dei livelli e degli stili di vita (riguardanti molti argomenti specifici) percepiti dai diversi gruppi di età a livello Europeo.

Buon divertimento 😉

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