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Il Capitano e la Capitana

Assistiamo sconvolti, in questi giorni, agli avvenimenti di Lampedusa e, soprattutto, all’enorme copertura mediatica di essi.
Sui giornali, in televisione, e inevitabilmente sui social, non si parla e non si scrive d’altro. La narrativa attualmente accettata da tutte le parti coinvolte è ormai quella del Capitano contro la Capitana.

Prima di essere accusati di “equidistanza” o di “cerchiobottismo”, lo diciamo subito chiaramente: secondo noi c’è una parte di Paese che (in buona fede) sulla vicenda della SeaWatch3 è caduta in una “trappola” accuratamente preparata.
Preparata dai soliti che contro l’immigrazione e sui migranti da anni sbraitano, s’indignano e urlano senza dati che supportino le loro tesi complottiste e catastrofiste, né proporre soluzioni alle criticità, che pure esistono. E lo fanno in malafede.

Tre premesse

1. Sulla vicenda della SeaWatch3 sta emergendo con evidenza un meccanismo perverso di polarizzazione delle posizioni politiche pro o contro il Ministro dell’Interno attualmente in carica. Non si discute delle cause e delle conseguenze di quanto accaduto a Lampedusa, soltanto di quanto sia bello e bravo o brutto e cattivo il signore in questione.

2. Al Capitano viene contrapposta la Capitana, idealizzata da una parte di pubblico e demonizzata dall’altra. Giocando sulle emozioni dovute ad un evento di attualità, politici, commentatori e giornalisti stanno volontariamente esacerbando la discussione. I politici, per acquistare consenso da un lato o dall’altro della “barricata”. I giornalisti, per aumentare i click sugli articoli, le condivisioni sui social, la vendita di copie.

3. Essere contro la polarizzazione del discorso politico non equivale a non voler prendere posizione. Questo meccanismo perverso favorisce chi l’ha messo in piedi e lo nutre: il partito politico attualmente al Governo. Noi per primi siamo dalla parte di Carola Rackete e del rispetto dei diritti umani senza se e senza ma. Il problema che ci poniamo è come sostenere quell’atto di responsabilità e umanità, e ciò che rappresenta, senza cadere nella trappola della polarizzazione.


Estremizzazione degli argomenti, polarizzazione del consenso

L’uso dell’hate speech come strumento di acquisizione di consenso sta toccando, in questi giorni, vette che non pensavamo possibili.
Il casus belli lo conosciamo tutti: la SeaWatch3. Abbiamo cercato (qui) di evidenziare le tecniche con cui l’estrema destra Italiana stava inquinando ad arte il discorso pubblico sulla nave carica di naufraghi fermata al largo delle coste di Lampedusa per quasi due settimane.
Il continuo uso di retorica violenta, nazionalista, sessista e razzista da parte del Ministro dell’Interno e dei suoi epigoni e seguaci ha sortito due effetti principali:

1. Aggregazione e mobilitazione dei sostenitori dell’odio di stato, sui social come nel mondo reale. I migranti a bordo della SeaWatch3, l’ONG che li ha salvati e la Capitana della nave sono stati fatto oggetto di insulti e diffamazione, aperti e velati, da far accapponare la pelle.
Contro la Capitana, in particolare, rea di aver “sfidato” il Ministro dell’Interno, è stato detto, scritto e fatto di tutto.
Carola Rackete presentava, del resto, tutte le caratteristiche per diventare un perfetto bersaglio del discorso d’odio:
– è giovane;
– è donna;
– è straniera;
– è solidale con i migranti;
– si è presa le proprie responsabilità.
Avendo una base sociale formata, in larghissima parte, di anziani irresponsabili e menefreghisti, è stato molto facile per il Ministro dell’Interno sfruttare la cassa di risonanza (eco-chamber) costituita dai social media e dalle continue comparsate in TV per attirare nuovi sostenitori dell’odio di Stato.
I risultati sono stati vomitevoli:

Credits: Fanpage.it

2. La mobilitazione e aggregazione della parte avversa alle politiche sull’immigrazione portate avanti dal Ministero dell’Interno Italiano, disumane e insensate, e di quella avversa soltanto politicamente ai Partiti attualmente al Governo, intorno alla figura della Capitana Carola Rackete.
A far da contraltare alla sguaiata torma che augurava alla Capitana l’arresto, lo stupro, la morte è sorto, in parte spontaneamente e in parte alimentata da giornalisti pronti a sfruttare l’emotività del momento, una contronarrativa che dipinge Carola Rackete come una santa, un’eroina: paragonata a Gesù Cristo, a Martin Luther King, a Rosa Parks.

Come sempre, quando a essere preso nel circo mediatico è un individuo di sesso femminile, si dispiega l’eterno stereotipo della donna o santa o puttana. Ma non è questo il punto.
Il pericolo insito in questo livello di idealizzazione ci sembra palese: contrapporre un Capitano ad un altro, giocando con gli stessi luoghi comuni (l’infallibilità, l’integrità morale, ecc.) pone lo scontro su un piano di parità, lo legittima.
Polarizza il discorso pubblico e lo distoglie dal merito, dai fatti.
Dalle tante, tantissime mancanze di un Ministro che altro mestiere non conosce che quello di rastrellare consensi come può e dove può. Perché non è andato a Bruxelles a ridiscutere il Regolamento di Dublino, ad esempio? Nessuno glielo chiede.
Dal merito principale di una Capitana di nave che non ha fatto altro che il proprio dovere, con senso di responsabilità e sensibilità.
Attribuirle doti “metafisiche” idealizzandone il comportamento ci sembra il modo migliore di autorizzare la narrativa della contrapposizione e dell’odio: l’assunzione di responsabilità e l’attenzione ai diritti umani va additata come esempio, ma non celebrata come qualcosa di eccezionale o di sovrumano.

Tanto più che una vicenda molto simile a questa accadde già nel 2004 con protagonisti Silvio Berlusconi e la nave Cap. Anamur, “colpevole” di aver forzato un blocco per stato di necessità di sbarcare i naufraghi salvati nel Mediterraneo.
Sappiamo come andò a finire: Capitano e Primo Ufficiale vennero arrestati subito dopo lo sbarco dei naufraghi e assolti cinque anni dopo.
Ci auguriamo che accada lo stesso, ma in tempi più brevi, anche alla Capitana Rackete, a nostro parere “colpevole” solo di essere giovane, donna, solidale, autorevole e responsabile.


Social media e polarizzazione politica: le fonti

Hong, S., & Kim, S.H., Political polarization on twitter: Implications for the use of social media in digital governments, Government Information Quarterly (2016)
A. Marwick, R. Lewis, Media Manipulation and Disinformation Online, Data&Society (2017)
F. Fukuyama, Identity. The demand for dignity and the politics of resentment, Farrar, Straus and Giroux (2018)
B. Saetta, Un business model tossico espone i media alla manipolazione. Un problema per la democrazia, Valigia Blu (2019)

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Hate speech e la SeaWatch3

Clickbait e influencer marketing: due messaggi d’odio a confronto


1. Il clickbait: “CLICCA QUI PER AMMAZZARLI TUTTI”

Mercoledì 26 Giugno 2019, mentre la Capitana Carola Rackete, dopo 14 giorni di attesa sul confine delle acque territoriali italiane, dirige la nave Seawatch3 con a bordo 42 naufraghi verso la costa di Lampedusa, una Deputata di un partito di Destra pubblica un tweet (che non linkiamo, perché portare traffico al discorso d’odio non è mai una buona idea).
Dice:

E ora affondiamo la #SeaWatch!

Allegato al tweet anche un video, in cui la signora, con aria agitata, spiega meglio il suo punto di vista (se proprio volete, leggetevelo qui).
Ovviamente nel video non invita ad affondare la nave con i migranti a bordo… anche se mentre lo pubblica i migranti sono ancora a bordo, quindi la tempistica risulta piuttosto sospetta.
Lo sappiamo: la signora in questione è poi andata in giro a dichiarare che “la sinistra sta spargendo in rete la bufala che vorrei affondare la nave con i migranti sopra. Sono talmente furbi che si sono limitati a leggere il titolo del post senza ascoltare quello che dico nel video”.
Pensiamo che la signora aveva già la dichiarazione pronta appena inviato il tweet… come tutti i clickbaiter.
Pubblicare un video titolando che bisogna “affondare la Seawatch3” è un invito al click che si basa sulla rabbia, sulla voglia di vendetta, di rivalsa delle proprie frustrazioni personali sulle 42 persone restate sotto il sole a largo di Lampedusa.
I distinguo, le varie spiegazioni e chiacchiere del video, arrivano dopo.
Intanto l’utente Twitter ha già cliccato sul messaggio d’odio.
Perché la signora (o meglio: i Social Media manager che le scrivono queste indecenze) non ha twittato: “come andrebbe gestito il caso della nave Seewatch3 una volta attraccata“?
Perché quel video non l’avrebbe guardato nessuno, ecco perché.
Si chiama “clickbait” e chi ha pubblicato quel tweet sa benissimo come funziona: non ci facciamo prendere per il culo, per cortesia.

Il tweet viene pubblicato, non a caso, quando la nave è ancora in movimento. Non è attraccata al porto, non è stata lasciata né dai migranti né dall’equipaggio.
Il collegamento è intuitivo, è immediato, disarma qualunque tentativo di spiegazione alternativa.
In un momento di altissima tensione, in cui la Seawatch3 è appena entrata nelle acque territoriali Italiane e si dirige a Lampedusa, questa signora non perde tempo e twitta “affondiamola!“.
“Affondare la Seawatch3” equivale, semanticamente, a un invito ad uccidere a sangue freddo l’equipaggio e i naufraghi a bordo.
Un messaggio dall’altissima intensità, dall’intento omicida e con un bersaglio ben preciso: i migranti.
Il primo modello [1] lo categorizza alla perfezione.


Analizzare il messaggio con il secondo modello [2], tuttavia, ci aiuta a rilevare due fattori non secondari, che caratterizzano questo invito ad “uccidere con un clic“.
Il primo è la assoluta mancanza di ironia. Ciò rende il messaggio ancora più aggressivo e dirompente: bisogna ucciderli.
In secondo luogo, l’uso dello stereotipo, in questo caso, è assente dal messaggio in quanto non funzionale. Al lettore interessato a questo tipo di messaggio d’odio viene lasciata “libertà di scegliere” perché uccidere i migranti.
Vuoi vederli morti perché ci vogliono sostituire?
Vuoi vederli morti perché vengono a rubare e stuprare?
Vuoi vederli morti perché vengono a fare la “pacchia”?
Vuoi vederli morti perché sono di pelle scura?
Va bene tutto, clicca qui.


La signora in questione non è interessata istituzionalmente dall’emergenza Seawatch3. Non ricopre incarichi di Governo, non ha voce in capitolo, può dunque permettersi clickbait quasi indolore. Non c’è un discorso politico, un’idea, una direzione di fondo a questo messaggio se non: odi i migranti? Anch’io, clicca qui!
Marketing politico basato sull’emozione del momento, vuoto di contenuti perché i contenuti non sono necessari: non avendo responsabilità di Governo, al personaggio in questione non è richiesto di agire.


2. L’influencer: “colpa dell’Europa cattiva e bacioni ai rosiconi”

Il 25 Giugno 2019, il Ministro dell’Interno Italiano, anziché affrontare la grave crisi della nave SeaWatch3 con i parigrado a livello Europeo, o stare in ufficio con i Funzionari del Ministero a studiare le carte e possibili soluzioni, dibatte pubblicamente della questione in qualità di ospite di un programma televisivo, per poi ovviamente scriverne su Twitter.
Anche qui, non vi linkeremo il tweet. Vi riportiamo però le parole testuali:

Non sono naufraghi, sono persone che pagano 3mila dollari.
Soldi che gli scafisti poi usano per comprare armi e droga. In italia non arrivano. Non mi faccio dettare leggi italiane da Ong tedesca su nave olandese.

Il signore in questione, lo sappiamo, si comporta sui media vecchi e nuovi più da influencer che da statista: mangia panini in ogni dove, fornisce la propria opinione su ogni cosa, compare fisicamente a farsi un selfie e quattro chiacchiere dove può e con chi può. Adotta anche uno stile di retorica “bacioni agli haters” che ricorda tanto Taylor Swift.
Il suo strumento di comunicazione dell’odio ci sembra proprio l’influencer marketing. Se non sapete cos’è, cercatelo su Google e fateci sapere se secondo voi calza al nostro Ministro dell’Interno.

In ogni caso, il tweet in questione a nostro giudizio esemplifica molto bene lo stile di trasmissione dei messaggi d’odio tipicamente adottato dal personaggio, e lo andremo perciò a catalogare secondo i due modelli.

Il modello [2] mostra bene, ci sembra, la relazione tra i bersagli, caratterizzati da livelli differenti di offesa e di stereotipazione, e l’azione, che è la stessa: respingere, allontanare.
La passivo-aggressività del messaggio emerge inoltre con la massima evidenza dall’uso della forma passiva (“non mi faccio dettare”) e impersonale (“in Italia non arrivano”) per determinare l’azione che si vuole compiere: respingere, appunto.

Il primo bersaglio: i migranti.

Il secondo modello [1] ci offre invece l’occasione di mettere meglio a fuoco i bersagli, e le modalità con cui vengono colpiti.
Il primo bersaglio è fin troppo facile da catalogare: i migranti, come sempre. I migranti di Schroendinger, che sono allo stesso tempo criminali clandestini pronti a sbarcare in Italia per rubare e stuprare, e ricchi lazzaroni che vengono in Italia a fare la bella vita a nostre spese.
Il focus sul migrante, con un livello relativamente basso di aggressività e di stereotipazione, è dovuto al fatto che in questo messaggio d’odio ci sono altri due bersagli.

Il secondo bersaglio: le ONG.

La criminalizzazione delle Organizzazioni Non Governative passa, allo stesso modo, da accostamenti e affermazioni basate su congetture e complotti: in questo caso, “armi e droga” abbinati al termine “scafisti”.
Si dà poi per scontato, che battere bandiera “olandese” ed essere “tedeschi” è già un grosso difetto: gli stranieri cattivi vogliono lucrare su noi povera gente, vogliono invaderci, e quant’altro.
I dati, come sempre, dicono tutt’altro (trovate qui un bell’articolo su The Vision sull’inesistente legame tra ONG e immigrazione), ma poco importa in un’ottica di colpevolizzazione. I dati sono per professoroni, noi ci basiamo sul “buonsenso”.

Il terzo bersaglio: l’Europa.

Il terzo livello è il più importante e di attualità rispetto agli altri due, che sono strumentali.
La procedura di infrazione da parte della Commissione Europea sta arrivando: è necessario prepararsi.

Si continua dunque con il leit-motif che ultimamente totalizza la narrazione online e offline degli spin doctor di questo signore: l’Europa cattiva.
La “bandiera Olandese” della nave “Tedesca” hanno semanticamente anche questo scopo: ricordare in maniera costante e didascalica, che il filo conduttore di tutto ciò che non funziona in Italia è l’Europa.
A scanso di equivoci: la revisione del trattato di Dublino, avvenuta nel 2016, contiene effettivamente alcune misure inique per i Paesi di prima accoglienza come il nostro, che andrebbero forse ridiscusse, e dall’altra parte anche molti Paesi “sovranisti” appartenenti al blocco di Visengrad non stanno rispettando gli accordi, rifiutando di accogliere le quote previste di migranti. Ma che il Ministro dell’Interno Italiano diserti tutte le riunioni istituzionali a Bruxelles sul tema delle migrazioni è un sintomo più che chiaro: non si vuole in alcun modo porre rimedio alle criticità, si vuole solo farci sopra del marketing politico.
Qui un ottimo articolo in merito da fonte molto più autorevole di noi (ASGI – Associazione per Studi Giuridici sull’Immigrazione).


Il messaggio d’odio che abbiamo preso qui ad esempio è soltanto uno tra le decine che questo signore pubblica quotidianamente. E per un politico di professione come costui, va da sé, qualsiasi forma di comunicazione non è e non può essere mai semplice boutade, mai opinione… ma strumento programmatico di marketing politico. Acquisizione di consenso.
Perché se costui volesse fare il suo lavoro (non il Segretario di un Partito, l’altro), cioè agire a livello di policy come il ruolo istituzionale attualmente gli consente, egli avrebbe tutti i dati e gli strumenti per discuterne nelle Sedi opportune ed elaborare delle soluzioni. Non mancano riferimenti tecnici e scientifici per analizzare le problematiche relative all’immigrazione, alla regolamentazione e al ruolo delle ONG e alle criticità nel funzionamento dell’Unione Europea.
I cambiamenti nella legislazione e le rinegoziazioni di trattati internazionali non possono essere effettuati sulla base del “sentimento popolare”. Non funziona così, e chi fa credere il contrario è o un truffatore o un irresponsabile.
In soldoni: le ondate migratorie non le gestisci abbandonando 42 esseri umani in balia del mare; il ruolo delle ONG non lo modifichi con un dibattito televisivo; i Regolamenti di Dublino non li ridisegni con un tweet.

Ma questo il Signor Ministro lo sa benissimo: i suoi spin doctor sono andati a scuola insieme a quelli di Trump.

A latere: la cosa più preoccupante in tutto questo è forse che nella narrazione sull’Europa cattiva, inseguendo le vicende di cronaca create ad arte per cercare visibilità e “attirare” elettori, si sta inserendo anche chi non dovrebbe (vero Emma?).
Cerchiamo di spiegare razionalmente da dove, secondo noi, bisognerebbe partire per dire qualcosa di sensato in merito: l’Unione Europea, per sua natura, è una struttura con tempi di reazione e di risposta alle crisi piuttosto lunghi. Uno di essi è il Regolamento di Dublino, che codifica la gestione dei rifugiati e dei richiedenti asilo a livello Europeo, in una prospettiva di medio termine.
Ora: se questo strumento non funziona, va ridiscusso. Se invece sono gli Stati ad averlo firmato senza poi rispettarlo, vanno puniti.

3. A CHI parlano costoro?

Lo scopo dei due messaggi è il medesimo: creare engagement nel pubblico per vendere un Partito politico.
Ci vediamo però anche delle differenze sostanziali.
I messaggi d’odio, le tecniche adottate e i bersagli scelti (abbiamo già provato a dimostrarlo qui) riflettono il pubblico di riferimento.
Le sue emozioni, le sue frustrazioni, e anche le sue specifiche demografiche.
Nel primo caso (clickbait) si prende di mira un segmento di popolazione già frustrato e arrabbiato, con tendenze razziste e xenofobe esacerbate dalla “violazione dei confini nazionali”. Si gioca sulle emozioni di rabbia condizionate dall’evento in corso, per portare momentaneamente il pubblico a condividere un messaggio di estrema violenza e aggressività, parzialmente smentito e attenuato poi dal video stesso, ma comunque comunicato.
Nel secondo caso, l’influencer offre un punto di vista passivo-aggressivo ad un segmento di popolazione totalmente digiuno di dati e di informazione su tre argomenti principali: le migrazioni, il funzionamento delle Organizzazioni Non Governative e l’Unione Europea.
Lo scopo del messaggio è creare engagement nella colpevolizzazione di questi tre bersagli. Soprattutto, aggiungeremmo, contro il “bersaglio grosso”, l’Europa, che a breve comunicherà la sua decisione sulla procedura d’infrazione contro l’Italia.
Questo messaggio, come le altre decine dello stesso tipo, che il Ministro dell’Interno pubblica quotidianamente, infarciti di opinioni non basate su dati reali e su stereotipi e schematizzazioni non dimostrate, aumentano gradualmente l’antipatia del segmento di pubblico verso i bersagli, e di conseguenza la simpatia nei confronti di chi li “fronteggia”, del Capitano che li combatte.
A questo proposito, un capitolo a parte lo merita sicuramente il discorso d’odio contro la Capitana Carola Rackete.
Lo tratteremo presto, stiamo raccogliendo materiale.


I due modelli di categorizzazione: le fonti

  1. L. Silva, M. Mondal, D. Correa, B. Benvenuto, I. Weber, “Analyzing the targets of hate in online social media” (2016)
  2. F. Poletto, M. Stranisci, M. Sanguinetti, V. Patti, C. Bosco, “Hate speech Annotation: Analysis of an Italian Twitter Corpus” (2017)

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