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EuroPeers European Network Meeting 2019

9-13 ottobre 2019 | Utrecht, Paesi Bassi


Si è tenuto dal 9 al 13 ottobre 2019 ad Utrecht l’evento internazionale “EuroPeers European Network Meeting 2019“, organizzato dall’Agenzia Nazionale Nederlands Jugendinstituut, in collaborazione con le Agenzie Nazionali di Germania ed Estonia e Commissione Europea. Ha coinvolto 74 giovani. Qualche mese fa l’Agenzia Nazionale Giovani Italiana ha deciso di lanciare anche in Italia il network nazionale degli Europeers, una rete già presente in diversi Paesi d’Europa con l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero di ragazze e ragazzi che hanno partecipato a scambi giovanili, esperienze di volontariato europeo, progetti di solidarietà europei, dialogo strutturato a livello europeo e/o ad altre opportunità previste nell’ambito dei Programmi europei per i Giovani, da ultimo Erasmus+ e Corpo Europeo di Solidarietà.


“L’iniziativa”, dice il nostro Alceste Aubert, “è rivolta a tutti i ragazzi che tornando in Italia, si vogliano rendere disponibili a diventare promotori delle opportunità che loro stessi hanno vissuto in prima persona e che, proprio per tale ragione, saranno di stimolo e di esempio per altri ragazzi che non sempre hanno accesso alle informazioni relative alle politiche europee in favore dei giovani, e non sempre conoscono ciò che l’UE mette a disposizione di tutti i giovani. La call è ancora in corso e dunque la rete italiana non si è ancora formalmente costituita.  Ringrazio l’Agenzia Nazionale Giovani per avermi dato l’opportunità di partecipare all’evento; un’occasione importante di crescita e di confronto personale portando in Europa la scelta di costituire anche in Italia questa bella e importante rete”.


Per aderire alla rete Europeers italiana, trovate la call qui.

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Scambio in Romania: le riflessioni di Gabriele

Pubblichiamo di seguito alcune righe inviateci da Gabriele, uno dei nostri partecipanti allo Scambio Giovanile a Lacu Rosu (Romania) nel mese di Luglio 2019.

E’ stata la mia prima esperienza in un progetto Erasmus +.
Sarà la prima di una lunga serie…
Sono felice di averci partecipato. Perché?
Sono potuto entrare in contatto con tanti giovani provenienti da nazioni e culture diverse.
Ho potuto scoprire la Romania attraverso gli occhi di un ‘cittadino’ e non tramite quelli di un turista.
Ciò mi ha permesso inoltre di abbattere i pregiudizi errati sul paese ospitante, la Romania.
Ho potuto assaggiare cibi tipici e ballare danze tradizionali in un’ottica interculturale.
Ho avuto l’opportunità di esprimere la mia opinione, riflettere e confrontarmi su tematiche rilevanti quali il volontariato e la cittadinanza attiva.
Non è mancato il tempo dedicato al divertimento, alle gite e al relax.
Non posso nascondere però che a livello organizzativo molte volte ci sono state delle mancanze e delle incomprensioni.
Sono sicuro che in futuro ciò verrà risolto.
Inoltre questo progetto ha saputo combinare in maniera ottimale la parte teorica con quella pratica, attraverso il tempo dedicato ai bambini presso un summer camp.
Il saluto di benvenuto che ci hanno riservato al nostro arrivo ha rappresentato per me un’emozione fortissima.
Grazie!

Gabriele Carpani

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Terza Newsletter VIP

Carissimi,
il nostro Progetto Europeo VIP – Violence Important Problem è giunto alla sua conclusione.

Prima di archiviarlo come un’esperienza che ci ha arricchito tantissimo sotto il profilo professionale e umano, condividiamo con voi la terza Newsletter di progetto.


Qui trovate le edizioni precedenti:

Newsletter 1 – Giugno 2018
Newsletter 2 – Dicembre 2018

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Il Capitano e la Capitana

Assistiamo sconvolti, in questi giorni, agli avvenimenti di Lampedusa e, soprattutto, all’enorme copertura mediatica di essi.
Sui giornali, in televisione, e inevitabilmente sui social, non si parla e non si scrive d’altro. La narrativa attualmente accettata da tutte le parti coinvolte è ormai quella del Capitano contro la Capitana.

Prima di essere accusati di “equidistanza” o di “cerchiobottismo”, lo diciamo subito chiaramente: secondo noi c’è una parte di Paese che (in buona fede) sulla vicenda della SeaWatch3 è caduta in una “trappola” accuratamente preparata.
Preparata dai soliti che contro l’immigrazione e sui migranti da anni sbraitano, s’indignano e urlano senza dati che supportino le loro tesi complottiste e catastrofiste, né proporre soluzioni alle criticità, che pure esistono. E lo fanno in malafede.

Tre premesse

1. Sulla vicenda della SeaWatch3 sta emergendo con evidenza un meccanismo perverso di polarizzazione delle posizioni politiche pro o contro il Ministro dell’Interno attualmente in carica. Non si discute delle cause e delle conseguenze di quanto accaduto a Lampedusa, soltanto di quanto sia bello e bravo o brutto e cattivo il signore in questione.

2. Al Capitano viene contrapposta la Capitana, idealizzata da una parte di pubblico e demonizzata dall’altra. Giocando sulle emozioni dovute ad un evento di attualità, politici, commentatori e giornalisti stanno volontariamente esacerbando la discussione. I politici, per acquistare consenso da un lato o dall’altro della “barricata”. I giornalisti, per aumentare i click sugli articoli, le condivisioni sui social, la vendita di copie.

3. Essere contro la polarizzazione del discorso politico non equivale a non voler prendere posizione. Questo meccanismo perverso favorisce chi l’ha messo in piedi e lo nutre: il partito politico attualmente al Governo. Noi per primi siamo dalla parte di Carola Rackete e del rispetto dei diritti umani senza se e senza ma. Il problema che ci poniamo è come sostenere quell’atto di responsabilità e umanità, e ciò che rappresenta, senza cadere nella trappola della polarizzazione.


Estremizzazione degli argomenti, polarizzazione del consenso

L’uso dell’hate speech come strumento di acquisizione di consenso sta toccando, in questi giorni, vette che non pensavamo possibili.
Il casus belli lo conosciamo tutti: la SeaWatch3. Abbiamo cercato (qui) di evidenziare le tecniche con cui l’estrema destra Italiana stava inquinando ad arte il discorso pubblico sulla nave carica di naufraghi fermata al largo delle coste di Lampedusa per quasi due settimane.
Il continuo uso di retorica violenta, nazionalista, sessista e razzista da parte del Ministro dell’Interno e dei suoi epigoni e seguaci ha sortito due effetti principali:

1. Aggregazione e mobilitazione dei sostenitori dell’odio di stato, sui social come nel mondo reale. I migranti a bordo della SeaWatch3, l’ONG che li ha salvati e la Capitana della nave sono stati fatto oggetto di insulti e diffamazione, aperti e velati, da far accapponare la pelle.
Contro la Capitana, in particolare, rea di aver “sfidato” il Ministro dell’Interno, è stato detto, scritto e fatto di tutto.
Carola Rackete presentava, del resto, tutte le caratteristiche per diventare un perfetto bersaglio del discorso d’odio:
– è giovane;
– è donna;
– è straniera;
– è solidale con i migranti;
– si è presa le proprie responsabilità.
Avendo una base sociale formata, in larghissima parte, di anziani irresponsabili e menefreghisti, è stato molto facile per il Ministro dell’Interno sfruttare la cassa di risonanza (eco-chamber) costituita dai social media e dalle continue comparsate in TV per attirare nuovi sostenitori dell’odio di Stato.
I risultati sono stati vomitevoli:

Credits: Fanpage.it

2. La mobilitazione e aggregazione della parte avversa alle politiche sull’immigrazione portate avanti dal Ministero dell’Interno Italiano, disumane e insensate, e di quella avversa soltanto politicamente ai Partiti attualmente al Governo, intorno alla figura della Capitana Carola Rackete.
A far da contraltare alla sguaiata torma che augurava alla Capitana l’arresto, lo stupro, la morte è sorto, in parte spontaneamente e in parte alimentata da giornalisti pronti a sfruttare l’emotività del momento, una contronarrativa che dipinge Carola Rackete come una santa, un’eroina: paragonata a Gesù Cristo, a Martin Luther King, a Rosa Parks.

Come sempre, quando a essere preso nel circo mediatico è un individuo di sesso femminile, si dispiega l’eterno stereotipo della donna o santa o puttana. Ma non è questo il punto.
Il pericolo insito in questo livello di idealizzazione ci sembra palese: contrapporre un Capitano ad un altro, giocando con gli stessi luoghi comuni (l’infallibilità, l’integrità morale, ecc.) pone lo scontro su un piano di parità, lo legittima.
Polarizza il discorso pubblico e lo distoglie dal merito, dai fatti.
Dalle tante, tantissime mancanze di un Ministro che altro mestiere non conosce che quello di rastrellare consensi come può e dove può. Perché non è andato a Bruxelles a ridiscutere il Regolamento di Dublino, ad esempio? Nessuno glielo chiede.
Dal merito principale di una Capitana di nave che non ha fatto altro che il proprio dovere, con senso di responsabilità e sensibilità.
Attribuirle doti “metafisiche” idealizzandone il comportamento ci sembra il modo migliore di autorizzare la narrativa della contrapposizione e dell’odio: l’assunzione di responsabilità e l’attenzione ai diritti umani va additata come esempio, ma non celebrata come qualcosa di eccezionale o di sovrumano.

Tanto più che una vicenda molto simile a questa accadde già nel 2004 con protagonisti Silvio Berlusconi e la nave Cap. Anamur, “colpevole” di aver forzato un blocco per stato di necessità di sbarcare i naufraghi salvati nel Mediterraneo.
Sappiamo come andò a finire: Capitano e Primo Ufficiale vennero arrestati subito dopo lo sbarco dei naufraghi e assolti cinque anni dopo.
Ci auguriamo che accada lo stesso, ma in tempi più brevi, anche alla Capitana Rackete, a nostro parere “colpevole” solo di essere giovane, donna, solidale, autorevole e responsabile.


Social media e polarizzazione politica: le fonti

Hong, S., & Kim, S.H., Political polarization on twitter: Implications for the use of social media in digital governments, Government Information Quarterly (2016)
A. Marwick, R. Lewis, Media Manipulation and Disinformation Online, Data&Society (2017)
F. Fukuyama, Identity. The demand for dignity and the politics of resentment, Farrar, Straus and Giroux (2018)
B. Saetta, Un business model tossico espone i media alla manipolazione. Un problema per la democrazia, Valigia Blu (2019)

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Hate speech e la SeaWatch3

Clickbait e influencer marketing: due messaggi d’odio a confronto


1. Il clickbait: “CLICCA QUI PER AMMAZZARLI TUTTI”

Mercoledì 26 Giugno 2019, mentre la Capitana Carola Rackete, dopo 14 giorni di attesa sul confine delle acque territoriali italiane, dirige la nave Seawatch3 con a bordo 42 naufraghi verso la costa di Lampedusa, una Deputata di un partito di Destra pubblica un tweet (che non linkiamo, perché portare traffico al discorso d’odio non è mai una buona idea).
Dice:

E ora affondiamo la #SeaWatch!

Allegato al tweet anche un video, in cui la signora, con aria agitata, spiega meglio il suo punto di vista (se proprio volete, leggetevelo qui).
Ovviamente nel video non invita ad affondare la nave con i migranti a bordo… anche se mentre lo pubblica i migranti sono ancora a bordo, quindi la tempistica risulta piuttosto sospetta.
Lo sappiamo: la signora in questione è poi andata in giro a dichiarare che “la sinistra sta spargendo in rete la bufala che vorrei affondare la nave con i migranti sopra. Sono talmente furbi che si sono limitati a leggere il titolo del post senza ascoltare quello che dico nel video”.
Pensiamo che la signora aveva già la dichiarazione pronta appena inviato il tweet… come tutti i clickbaiter.
Pubblicare un video titolando che bisogna “affondare la Seawatch3” è un invito al click che si basa sulla rabbia, sulla voglia di vendetta, di rivalsa delle proprie frustrazioni personali sulle 42 persone restate sotto il sole a largo di Lampedusa.
I distinguo, le varie spiegazioni e chiacchiere del video, arrivano dopo.
Intanto l’utente Twitter ha già cliccato sul messaggio d’odio.
Perché la signora (o meglio: i Social Media manager che le scrivono queste indecenze) non ha twittato: “come andrebbe gestito il caso della nave Seewatch3 una volta attraccata“?
Perché quel video non l’avrebbe guardato nessuno, ecco perché.
Si chiama “clickbait” e chi ha pubblicato quel tweet sa benissimo come funziona: non ci facciamo prendere per il culo, per cortesia.

Il tweet viene pubblicato, non a caso, quando la nave è ancora in movimento. Non è attraccata al porto, non è stata lasciata né dai migranti né dall’equipaggio.
Il collegamento è intuitivo, è immediato, disarma qualunque tentativo di spiegazione alternativa.
In un momento di altissima tensione, in cui la Seawatch3 è appena entrata nelle acque territoriali Italiane e si dirige a Lampedusa, questa signora non perde tempo e twitta “affondiamola!“.
“Affondare la Seawatch3” equivale, semanticamente, a un invito ad uccidere a sangue freddo l’equipaggio e i naufraghi a bordo.
Un messaggio dall’altissima intensità, dall’intento omicida e con un bersaglio ben preciso: i migranti.
Il primo modello [1] lo categorizza alla perfezione.


Analizzare il messaggio con il secondo modello [2], tuttavia, ci aiuta a rilevare due fattori non secondari, che caratterizzano questo invito ad “uccidere con un clic“.
Il primo è la assoluta mancanza di ironia. Ciò rende il messaggio ancora più aggressivo e dirompente: bisogna ucciderli.
In secondo luogo, l’uso dello stereotipo, in questo caso, è assente dal messaggio in quanto non funzionale. Al lettore interessato a questo tipo di messaggio d’odio viene lasciata “libertà di scegliere” perché uccidere i migranti.
Vuoi vederli morti perché ci vogliono sostituire?
Vuoi vederli morti perché vengono a rubare e stuprare?
Vuoi vederli morti perché vengono a fare la “pacchia”?
Vuoi vederli morti perché sono di pelle scura?
Va bene tutto, clicca qui.


La signora in questione non è interessata istituzionalmente dall’emergenza Seawatch3. Non ricopre incarichi di Governo, non ha voce in capitolo, può dunque permettersi clickbait quasi indolore. Non c’è un discorso politico, un’idea, una direzione di fondo a questo messaggio se non: odi i migranti? Anch’io, clicca qui!
Marketing politico basato sull’emozione del momento, vuoto di contenuti perché i contenuti non sono necessari: non avendo responsabilità di Governo, al personaggio in questione non è richiesto di agire.


2. L’influencer: “colpa dell’Europa cattiva e bacioni ai rosiconi”

Il 25 Giugno 2019, il Ministro dell’Interno Italiano, anziché affrontare la grave crisi della nave SeaWatch3 con i parigrado a livello Europeo, o stare in ufficio con i Funzionari del Ministero a studiare le carte e possibili soluzioni, dibatte pubblicamente della questione in qualità di ospite di un programma televisivo, per poi ovviamente scriverne su Twitter.
Anche qui, non vi linkeremo il tweet. Vi riportiamo però le parole testuali:

Non sono naufraghi, sono persone che pagano 3mila dollari.
Soldi che gli scafisti poi usano per comprare armi e droga. In italia non arrivano. Non mi faccio dettare leggi italiane da Ong tedesca su nave olandese.

Il signore in questione, lo sappiamo, si comporta sui media vecchi e nuovi più da influencer che da statista: mangia panini in ogni dove, fornisce la propria opinione su ogni cosa, compare fisicamente a farsi un selfie e quattro chiacchiere dove può e con chi può. Adotta anche uno stile di retorica “bacioni agli haters” che ricorda tanto Taylor Swift.
Il suo strumento di comunicazione dell’odio ci sembra proprio l’influencer marketing. Se non sapete cos’è, cercatelo su Google e fateci sapere se secondo voi calza al nostro Ministro dell’Interno.

In ogni caso, il tweet in questione a nostro giudizio esemplifica molto bene lo stile di trasmissione dei messaggi d’odio tipicamente adottato dal personaggio, e lo andremo perciò a catalogare secondo i due modelli.

Il modello [2] mostra bene, ci sembra, la relazione tra i bersagli, caratterizzati da livelli differenti di offesa e di stereotipazione, e l’azione, che è la stessa: respingere, allontanare.
La passivo-aggressività del messaggio emerge inoltre con la massima evidenza dall’uso della forma passiva (“non mi faccio dettare”) e impersonale (“in Italia non arrivano”) per determinare l’azione che si vuole compiere: respingere, appunto.

Il primo bersaglio: i migranti.

Il secondo modello [1] ci offre invece l’occasione di mettere meglio a fuoco i bersagli, e le modalità con cui vengono colpiti.
Il primo bersaglio è fin troppo facile da catalogare: i migranti, come sempre. I migranti di Schroendinger, che sono allo stesso tempo criminali clandestini pronti a sbarcare in Italia per rubare e stuprare, e ricchi lazzaroni che vengono in Italia a fare la bella vita a nostre spese.
Il focus sul migrante, con un livello relativamente basso di aggressività e di stereotipazione, è dovuto al fatto che in questo messaggio d’odio ci sono altri due bersagli.

Il secondo bersaglio: le ONG.

La criminalizzazione delle Organizzazioni Non Governative passa, allo stesso modo, da accostamenti e affermazioni basate su congetture e complotti: in questo caso, “armi e droga” abbinati al termine “scafisti”.
Si dà poi per scontato, che battere bandiera “olandese” ed essere “tedeschi” è già un grosso difetto: gli stranieri cattivi vogliono lucrare su noi povera gente, vogliono invaderci, e quant’altro.
I dati, come sempre, dicono tutt’altro (trovate qui un bell’articolo su The Vision sull’inesistente legame tra ONG e immigrazione), ma poco importa in un’ottica di colpevolizzazione. I dati sono per professoroni, noi ci basiamo sul “buonsenso”.

Il terzo bersaglio: l’Europa.

Il terzo livello è il più importante e di attualità rispetto agli altri due, che sono strumentali.
La procedura di infrazione da parte della Commissione Europea sta arrivando: è necessario prepararsi.

Si continua dunque con il leit-motif che ultimamente totalizza la narrazione online e offline degli spin doctor di questo signore: l’Europa cattiva.
La “bandiera Olandese” della nave “Tedesca” hanno semanticamente anche questo scopo: ricordare in maniera costante e didascalica, che il filo conduttore di tutto ciò che non funziona in Italia è l’Europa.
A scanso di equivoci: la revisione del trattato di Dublino, avvenuta nel 2016, contiene effettivamente alcune misure inique per i Paesi di prima accoglienza come il nostro, che andrebbero forse ridiscusse, e dall’altra parte anche molti Paesi “sovranisti” appartenenti al blocco di Visengrad non stanno rispettando gli accordi, rifiutando di accogliere le quote previste di migranti. Ma che il Ministro dell’Interno Italiano diserti tutte le riunioni istituzionali a Bruxelles sul tema delle migrazioni è un sintomo più che chiaro: non si vuole in alcun modo porre rimedio alle criticità, si vuole solo farci sopra del marketing politico.
Qui un ottimo articolo in merito da fonte molto più autorevole di noi (ASGI – Associazione per Studi Giuridici sull’Immigrazione).


Il messaggio d’odio che abbiamo preso qui ad esempio è soltanto uno tra le decine che questo signore pubblica quotidianamente. E per un politico di professione come costui, va da sé, qualsiasi forma di comunicazione non è e non può essere mai semplice boutade, mai opinione… ma strumento programmatico di marketing politico. Acquisizione di consenso.
Perché se costui volesse fare il suo lavoro (non il Segretario di un Partito, l’altro), cioè agire a livello di policy come il ruolo istituzionale attualmente gli consente, egli avrebbe tutti i dati e gli strumenti per discuterne nelle Sedi opportune ed elaborare delle soluzioni. Non mancano riferimenti tecnici e scientifici per analizzare le problematiche relative all’immigrazione, alla regolamentazione e al ruolo delle ONG e alle criticità nel funzionamento dell’Unione Europea.
I cambiamenti nella legislazione e le rinegoziazioni di trattati internazionali non possono essere effettuati sulla base del “sentimento popolare”. Non funziona così, e chi fa credere il contrario è o un truffatore o un irresponsabile.
In soldoni: le ondate migratorie non le gestisci abbandonando 42 esseri umani in balia del mare; il ruolo delle ONG non lo modifichi con un dibattito televisivo; i Regolamenti di Dublino non li ridisegni con un tweet.

Ma questo il Signor Ministro lo sa benissimo: i suoi spin doctor sono andati a scuola insieme a quelli di Trump.

A latere: la cosa più preoccupante in tutto questo è forse che nella narrazione sull’Europa cattiva, inseguendo le vicende di cronaca create ad arte per cercare visibilità e “attirare” elettori, si sta inserendo anche chi non dovrebbe (vero Emma?).
Cerchiamo di spiegare razionalmente da dove, secondo noi, bisognerebbe partire per dire qualcosa di sensato in merito: l’Unione Europea, per sua natura, è una struttura con tempi di reazione e di risposta alle crisi piuttosto lunghi. Uno di essi è il Regolamento di Dublino, che codifica la gestione dei rifugiati e dei richiedenti asilo a livello Europeo, in una prospettiva di medio termine.
Ora: se questo strumento non funziona, va ridiscusso. Se invece sono gli Stati ad averlo firmato senza poi rispettarlo, vanno puniti.

3. A CHI parlano costoro?

Lo scopo dei due messaggi è il medesimo: creare engagement nel pubblico per vendere un Partito politico.
Ci vediamo però anche delle differenze sostanziali.
I messaggi d’odio, le tecniche adottate e i bersagli scelti (abbiamo già provato a dimostrarlo qui) riflettono il pubblico di riferimento.
Le sue emozioni, le sue frustrazioni, e anche le sue specifiche demografiche.
Nel primo caso (clickbait) si prende di mira un segmento di popolazione già frustrato e arrabbiato, con tendenze razziste e xenofobe esacerbate dalla “violazione dei confini nazionali”. Si gioca sulle emozioni di rabbia condizionate dall’evento in corso, per portare momentaneamente il pubblico a condividere un messaggio di estrema violenza e aggressività, parzialmente smentito e attenuato poi dal video stesso, ma comunque comunicato.
Nel secondo caso, l’influencer offre un punto di vista passivo-aggressivo ad un segmento di popolazione totalmente digiuno di dati e di informazione su tre argomenti principali: le migrazioni, il funzionamento delle Organizzazioni Non Governative e l’Unione Europea.
Lo scopo del messaggio è creare engagement nella colpevolizzazione di questi tre bersagli. Soprattutto, aggiungeremmo, contro il “bersaglio grosso”, l’Europa, che a breve comunicherà la sua decisione sulla procedura d’infrazione contro l’Italia.
Questo messaggio, come le altre decine dello stesso tipo, che il Ministro dell’Interno pubblica quotidianamente, infarciti di opinioni non basate su dati reali e su stereotipi e schematizzazioni non dimostrate, aumentano gradualmente l’antipatia del segmento di pubblico verso i bersagli, e di conseguenza la simpatia nei confronti di chi li “fronteggia”, del Capitano che li combatte.
A questo proposito, un capitolo a parte lo merita sicuramente il discorso d’odio contro la Capitana Carola Rackete.
Lo tratteremo presto, stiamo raccogliendo materiale.


I due modelli di categorizzazione: le fonti

  1. L. Silva, M. Mondal, D. Correa, B. Benvenuto, I. Weber, “Analyzing the targets of hate in online social media” (2016)
  2. F. Poletto, M. Stranisci, M. Sanguinetti, V. Patti, C. Bosco, “Hate speech Annotation: Analysis of an Italian Twitter Corpus” (2017)

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A lezione dai famigerati quattro

Siamo stati a Milano per “Liberi, oltre le illusioni”: ve lo raccontiamo

C’è stato chi, su Twitter, li ha definiti “economo-haters” e si è beccato una shitstorm di discrete proporzioni (il giornalista in questione forse aveva solo voglia di partecipare alla festa senza pagare il biglietto?). Probabilmente perché i “famigerati quattro” [Michele Boldrin, (Professore di Economia a Washington University in St Louis), Gianluca Codagnone (Managing Director di Fidentiis Equities), Costantino De Blasi (Re Value srl), Thomas Manfredi (analista OECD-OCSE)] non hanno posti di lavoro da difendere né voti da chiedere, e quindi le proprie opinioni le esprimono senza peli sulla lingua. E, aggiungeremmo, le comunicano anche estremamente bene.

I “famigerati quattro” (da sinistra: Codagnone, De Blasi, Manfredi, Boldrin) durante la “chiacchierata live” insieme a Renato Cifarelli e Alfonso Fuggetta.
Credits: Liberi, Oltre le Illusioni

Sabato 22 e Domenica 23 Giugno 2019, a Sesto San Giovanni, al raduno di “economo-hatersLiberi, oltre le illusioni c’eravamo anche noi.
Non siamo economisti, non siamo bocconiani, ma ci pare che su alcune tematiche a noi care (il discorso d’odio e la disuguaglianza generazionale su tutte) i quattro si distinguano, sul canale Youtube dove “chiacchierano” settimanalmente, per la lucidità delle vedute e per la chiarezza (a volte durezza) nell’esposizione, che rende i loro discorsi su economia, politica e finanza comprensibili anche a meno esperti.
Siamo arrivati a Sesto San Giovanni durante l’Apocalisse (grandine e qualche allagamento) e ce ne siamo andati col sole: qualcosa vorrà pur dire.

Non staremo a farvi il riassunto delle varie discussioni (12 nella prima giornata, divise in 3 Sale dell’Hotel) perché sono tutti reperibili in streaming sul Canale Youtube di Michele Boldrin. Se proprio volete, ce n’è di fatti benissimo altrove: ad esempio sul Blog “Il Caffè e l’opinione“.
Ci preme, anche ad uso e consumo della “comunità” che si sta creando attorno ai famigerati quattro, dire la nostra su cosa ci è sembrato funzionare e cosa si può migliorare.

Aspetti positivi

  1. Il prezzo del biglietto era molto basso (20 euro), e ha favorito un bell’afflusso di persone. Ciononostante, la location era eccezionale.
  2. La partecipazione di giovani è stata decisamente alta: sia tra il pubblico (a occhio, più della metà dei partecipanti era under 30) sia tra i relatori, grazie al coinvolgimento di Tortuga.
  3. La qualità dei Relatori: come sempre, gli invitati a parlare hanno dimostrato nella media un’onestà intellettuale e una competenza non comune altrove. Bello.
  4. Gli argomenti erano di estremo interesse. All’interno della vasta scelta di Panel, il più vicino alla nostra sensibilità è stato Giovani e lavoro (che vi consigliamo di ascoltare) con Elsa Fornero, durante il quale sono state dibattute non soltanto le disuguaglianze generazionali, ma anche l’hate speech e le sue conseguenze sul Paese.

Dove migliorare

  1. C’è stato poco spazio per l’interazione. Del resto i grandi numeri (inattesi) spesso costringono alla “lezione frontale”.
  2. Il ruolo dei giovani tra i relatori è stato molto “accademico”: riassuntini, introduzioni, analisi di dati. Non li abbiamo (purtroppo) percepiti come portatori di un punto di vista proprio.
  3. Molti relatori, e soprattutto i loro punti di vista, erano già noti a chi seguiva già il podcast o il canale Youtube di Boldrin&co. Si è trattato in alcuni casi di “ripetizioni” dal vivo.
  4. Discutere dei massimi sistemi in 1 ora è difficile.
    Siamo abituati al format dei “famigerati quattro” che portano il proprio punto di vista (e dati!) su eventi e dichiarazioni di strettissima attualità (tipo i minibot). Questa formula, applicata ad argomenti più vasti (disuguaglianze, fiscalità, salute mentale) ci sembra perdere molta della sua efficacia.

Ci torneremo?

Assolutamente sì. Ci ha colpito, più di tutto, la sensazione di assistere alla nascita di una comunità. Di cui non ci dispiacerebbe essere parte.

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Sbatti ERASMUS+ in prima pagina

C’è una notizia che, questo mese, è rimbalzata parecchio sulla stampa e di conseguenza online: ovvero che l’80% dei giovani che partecipano al Programma ERASMUS+ trova lavoro prima.
Lo hanno pubblicato su Il Sole 24 Ore, e inevitabilmente un cospicuo numero di siti e testate giornalistiche gli è andato dietro, attingendo a piene mani al titolo e all’articolo.
Noi il Report della Commissione Europea però ce lo siamo letto (non lo linka nessuno, lo facciamo noi, è qui): la differenza nel trovare lavoro tra chi ha partecipato alla mobilità ERASMUS e chi no è stimata al 4%.

Erasmus+ Higher Education Impact Study, p. 182.

I Laureati che hanno frequentato ERASMUS+ hanno trovato il loro primo lavoro più velocemente (il 79% entro tre mesi dalla Laurea, contro il 75% dei non partecipanti alla mobilità).

Chiaro?

Cosa hanno letto al Sole 24 Ore?

Probabilmente solo l’Executive Summary.
A pagina 2 leggiamo:

Erasmus+ Higher Education Impact Study, p. 2

Questo 80% non se lo sono inventato. L’hanno solo preso come dato grezzo, senza andare a verificare i dati controfattuali, né almeno andare a leggere le conclusioni del report. Male, molto male.
Non è, non può essere un semplice errore.
Significa non saperne nulla di Programmi Europei. Parliamoci chiaro: un Programma che aumenta le chance di lavorare dei ragazzi dell’80%, e a costo zero per lo Stato, in Italia, per non parlare di Paesi messi ancora peggio come Cipro, la Grecia o la Turchia, sarebbe già obbligatorio.
A noi il titolone è saltato immediatamente all’occhio… siamo stati gli unici?

Probabilmente, abbagliati dalla comodità del “riassuntino”, molti non sono andati a leggersi bene il Report. Ed è un peccato, perché c’è scritto nero su bianco che i risultati statisticamente migliori ERASMUS+ li ha ottenuti in altre aree: la percezione di essere cittadini Europei, l’autostima dei partecipanti, la sensibilità ai diritti umani, la capacità di vivere e lavorare in ambiente multiculturale.

Insomma, il Programma ha riportato i risultati migliori proprio sugli obiettivi per cui è stato pensato. Chi l’avrebbe mai detto.

Professoroni di sinistra

A questo punto vi sarà chiaro che siamo anche noi, pur in mancanza di titoli accademici, dei Professoroni di sinistra, e che pretendiamo di correggere Il Sole 24 Ore.
Pure quando scrive positivamente di ERASMUS+, il Programma Europeo più bello che c’è.
Purtroppo è un male necessario: perché la disinformazione è una piaga SEMPRE e non è mai innocente. Neanche quando va apparentemente a favore di qualcosa che ci piace.


Di questi articoli, spesso fatti a bella posta per polarizzare il discorso tra pro-Europei e antieuropeisti (non possiamo dire se sia questo il caso, ma il sospetto c’è) non ne possiamo più.

Impariamo per favore a dare le notizie con equilibrio o, se non ne siamo capaci, quantomeno a leggere i dati.

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Cosa vogliono venderti con i discorsi d’odio?

Facebook, lo sappiamo, in Italia è il veicolo principale su cui viaggiano tutti i tipi di messaggi politici retrogradi. I discorsi d’odio, certo, ma anche complottismi, notizie false, idiozie e oscenità le più disparate.
Tutte queste belle cose hanno un denominatore comune: sono specificatamente ed efficacemente targetizzate. Sono prodotte secondo una logica di marketing di tipo “pull” per sfruttare il sentiment, ovvero l’insieme di reazioni e emozioni ad un fatto o un argomento condivise sui social, di uno o più target group.
I discorsi d’odio, le fake news, le bufale complottare, non “vendono” valori o idee nuove: sfruttano quelle che ci sono già, di solito basate su stereotipi e pregiudizi, per confermare al loro “segmento di mercato” che ha ragione, che i dati non contano nulla ma valgono solo le sue percezioni individuali.
Lasciamo da parte i complotti, su cui da altre parti del web si sta scrivendo bene e con profondità (segnaliamo solo, en passant il blog di PaoloTuttoTroppo e le sue belle analisi). Andiamo a cercare di decostruire come opera e, soprattutto, cosa vuole vendere il discorso d’odio.

Un ottimo esempio

Abbiamo scelto questa vignetta condivisa su Facebook da una paginetta satirica antieuropea, per tre ragioni:

  1. Mescola con vomitevole disinvoltura discorsi d’odio, vittimismo e disinformazione.
  2. Risulta estremamente semplice e didascalica, tanto che qual è il suo target group di riferimento è anche imbarazzante doverlo scrivere.
  3. Il messaggio di fondo è palese.

Tutto questo, per quanto ci spiaccia guardarla, ci agevola nella decostruzione e dunque, in un certo senso, la nobilita.
Procediamo.

Il fatto reale e la sua percezione

Il discorso d’odio parte sempre, come detto, dalle percezioni che ha il target group scelto di fatti reali.
In questa vignetta, il fatto reale più eclatante ci sembra la crisi economica del 2008 e le sue conseguenze: il progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro e le nuove norme Europee sul pareggio di bilancio, che impediscono agli Stati membri di continuare a spendere a debito e scaricare i costi delle loro politiche sulle generazioni future. Si tratta di un fatto reale, tangibile, difficilmente discutibile: la sua interpretazione, tuttavia, richiederebbe dati, analisi, riflessioni. E invece…

I cambiamenti in atto

La percezione viene messa arbitrariamente, e con evidente fallacia logica, in correlazione con i cambiamenti in atto, che il target group non è in grado di spiegarsi.
Assistiamo quindi alla creazione di una correlazione diretta tra il fatto (la crisi) e il cambiamento (l’Unione Europea, nelle sue varie componenti: qui soprattutto l’unione monetaria, ma spesso attaccano anche quella politica).
In questo modo il target group, se non è adeguatamente informato, non riesce a interpretare il cambiamento in atto, lo associa e lo lega al fatto, e soprattutto alla sua percezione negativa (Euro=crisi… è dai bei tempi di Berlusconi che lo fanno, sti cialtroni).

Gli stereotipi del target group

Per veicolare l’associazione arbitraria tra cambiamenti in atto e percezione dei fatti reali, in questa vignetta si usa lo stereotipo puro e semplice del “giovane“, che da un lato è “problema da risolvere” (ingrato, insulta, va mantenuto), dall’altro è infantilizzato, stupido, bamboccione (ritratto più piccolo, con la faccia da ragazzino, gli occhialetti da scemo).
La condizione di ritardo dei giovani Italiani nell’autonomia economica, che anch’essa andrebbe studiata e analizzata nelle sue case e conseguenze, viene sfruttata solo nella sua “percezione” più immediata: io guadagno più di te quindi sono (almeno) meglio te.

Il target group

A questo punto ci sembra chiaro a chi si rivolge questa vignetta. Proviamo a buttare giù un profilo:
Uomo, autoctono, pelle chiara;
Over 50;
Figli a carico, in condizione di ritardo o disagio economico;
Scarse conoscenze in Economia, Politica, Relazioni Internazionali;
Stressato, preoccupato, scoraggiato (notate l’espressione affranta, la sigaretta all’angolo della bocca).
Riusciamo a quantificare un target group di questo tipo?
A occhio e croce parliamo di MILIONI di persone.
[e se si riesce a convincerne anche solo un 10%… bingo!]

Il capro espiatorio

LO STRANIERO CATTIVO a.k.a l’Europa malvagia!
Lo stereotipo più vecchio del mondo.
LO STRANIERO. LO SCONOSCIUTO. QUELLO CHE VIENE DA FUORI. LA MERKEL. JUNKER L’UBRIACONE. VENGONO A COMANDARE A CASA NOSTRA.


Qui vi proponiamo un bell’esempio, ancor più esplicativo, di variazione sul tema.
C’è tutto: complottismo sui vaccini, razzismo, vittimismo…
Nel contesto dei discorsi d’odio il “cattivone”, gira e rigira viene sempre da fuori. Sempre l’altro.
Sempre straniero.
Perché l’autoctono (l’Italiano) è il gruppo target a cui devono vendere.

Il messaggio intriso d’odio

L’Euro ci ha condannati alla povertà.

A livello meramente logico, ci sono almeno un paio cose che non vanno in questo messaggio:
1) Se dopo l’Euro siamo diventati poveri… come fa quel grand’uomo con la cravatta, che grazie alla lira faceva soldoni a palate, a mantenere il suo figlio imbelle?
2) Visto che il grande successo del padre (supponiamo negli anni 80) è stato merito della lira… per quale motivo se ne prende i meriti?
Insomma bisognerebbe approfondire… di chi è merito? Della lira o del fatto che gli Over 50 erano dei grand’uomini?
Scherzi a parte, qui non c’è un bel nulla da approfondire perché, com’è evidente, non c’è nulla di logico.
Si gioca beceramente e cinicamente sugli stati d’animo delle persone (in questo caso gli Over 50 in difficoltà economiche, con figli di venti-trent’anni a carico che non riescono ad essere autonomi), per vendergli… che cosa?

Cosa vogliono vendere

Di solito, un Partito politico. Strano, vero?
Andate solo a vedervi la data in cui è stato pubblicato il post: 26 Maggio 2019, giorno delle elezioni europee.

In cambio del tuo voto indignato, i paladini del discorso d’odio andranno (a Roma, a Bruxelles, a Cernusco sul Naviglio, dove cazzo vuoi tu) a risolvere tutti i problemi.
A sconfiggere tutti i cattivoni.
Cattivoni STRANIERI. O ROM. Meglio comunque se ben riconoscibili.
Comunque cattivoni che non sono come noi, ecco.


Guarda come mi ingozzo di Nutella! Io sì che sono come te!

Cosa vogliono venderti con i discorsi d’odio? Read More »

Che fine ha fatto il futuro?

Le disuguaglianze generazionali nel libro di Marina Mastropierro

Ci siamo fiondati, non appena saputo che esisteva, a leggere il libro di Marina Matropierro, Ricercatrice in Sociologia, edito da Ediesse Edizioni il 23 Maggio di quest’anno. Ci siamo fiondati perché, nonostante di disuguaglianze generazionali si inizi da qualche tempo a parlare, (un bell’esempio qui: un ottimo articolo di Valigia Blu sull’ultima umiliazione mediatica ai giovani, la stronzata del “il lavoro c’è ma i giovani non vogliono lavorare“), ci mancano ancora alcuni strumenti di base per discuterne, anche a livello di policy, con cognizione di causa. E esattamente a questo serve la Ricerca Universitaria, quando è fatta bene.

Ma procediamo con ordine…

L’incipit

In Italia si assiste alla presenza di una nuova forma di disuguaglianza: quella generazionale. Esiste una nuova classe di esclusi dal benessere e dalle opportunità del paese che si fa fatica a nominare: i giovani.

La struttura del libro

Si tratta di un libro snello (circa 150 pagine), ma pregno.
Dopo una premessa programmatica, che svela fin dall’incipit il focus dell’indagine condotta, si passa a una disamina “a volo d’uccello” delle politiche di welfare dopo il “Trentennio glorioso” (primo e secondo dopoguerra). La rottura del “patto generazionale” segna il passaggio da politiche pubbliche volte a favorire i giovani, la loro educazione e il loro reddito, per sostenere la creazione di nuovi nuclei familiari, ad enormi investimenti in politiche assistenzialistiche rivolte a individui in età matura (pre-pensionamenti) e agli anziani (Sanità).
A segnare il passaggio dell’Italia da Stato che coltiva giovani a Stato che cura vecchi sarebbero intervenuti, secondo l’Autrice, tre eventi particolarmente traumatici: i movimenti giovanili e femministi, la “seconda transizione demografica”, e lo choc petrolifero del ’73.
Dopo questa fase storica (i primi anni 70 del 1900), si assiste da un lato a una sorta di “criminalizzazione” del giovane come problema da risolvere, dall’altro a una “infantilizzazione” del giovane imbelle da attivare.
Le politiche sociali, improntate da queste belle schematizzazioni, sono analizzate con dovizia di particolari nei loro impatti desolanti sulla vita economica, culturale e politica del Belpaese.
La seconda parte si apre con un case study riguardo le politiche giovanili, i celebrati “Bollenti spiriti” della Puglia di Vendola e il loro oggettivo fallimento nel medio periodo.
In seguito alla disamina e alla restituzione delle esperienze di coloro che a quei progetti e a quelle iniziative presero parte, l’Autrice propone un “Manifesto di welfare generazionale”, strutturato sulla base dei problemi esaminati.


Cosa ci è piaciuto

  1. La Ricerca fatta bene e su problemi reali. Se hai i dati e la metodologia per interpretarli… ecco che il tuo punto di vista può acquistare una qualche credibilità. Altrimenti sono solo minibot.
  2. C’è un’ottima pars destruens. L’analisi e la decostruzione delle dinamiche politiche e sociali che hanno portato alle evidenti disuguaglianze generazionali che viviamo oggi ci sembra solida. Il case study scelto, e soprattutto le storie di quei “ragazzi e ragazze”, sono emblematiche e parlano a tutti noi.
  3. Il punto di vista. Rileggere la storia delle politiche pubbliche Italiane sul welfare come cambio di rotta (da focus sui giovani a focus sui vecchi) basato su eventi “traumatici”, ha un senso politico oltre, che scientifico, che anche noi troviamo necessario perseguire. Questa situazione di disuguaglianza è stata creata nel corso dei decenni: non è piovuta dal cielo insieme all’Euro.
  4. C’è una pars construens Tre sono le proposte di policy che avanza la Ricercatrice per ovviare alle disuguaglianze generazionali:
    – reddito minimo garantito;
    – riduzione (e regolamentazione, nel caso dei precari) dell’orario di lavoro;
    – Università gratuita.
    Al di là di quanto e come si possa essere d’accordo nel merito (non lo approfondiremo qui), ci sembrano proposte logiche e coerenti coi problemi individuati nel corso dell’analisi, e questo non possiamo che apprezzarlo. Ci piacerebbe che fossero dibattute, che se ne parlasse.

Cosa ci è piaciuto meno

Mhm… facciamo davvero fatica a muovere critiche. Diciamo che forse un po’ troppo corto?
L’analisi delle politiche pubbliche rivolte ai giovani è piuttosto puntuale e il case-study analizzato molto calzante, ma a nostro parere restano ancora tantissimi aspetti delle disuguaglianze generazionali da approfondire: a livello storico, politologico e soprattutto economico.
Speriamo vivamente che l’Autrice, e gli altri Ricercatori che con lei dialogheranno, continuino a scavare.


La citazione

[…] giovani che esprimono nuove identità lavorative, caratterizzate da una forte componente vocazionale ed espressiva. Gli ambiti produttivi interessano principalmente le dimensioni culturali, ambientali, sociali, artistiche, didattiche e pedagogiche, tecnologiche e della comunicazione, legate dunque al macrosettore della conoscenza e delle competenze ad alto contenuto umano (High skills). Sembrano essere soggetti portatori di una nuova sensibilità generazionale riconducibile al lavoro. Nello stesso tempo però le condizioni economiche e contrattuali non sono sufficienti spesso a garantire un tenore di vita autonomo, tanto è che la maggior parte di loro si definisce “precario”.

Vi ci riconoscete? Noi sì.

Concetti-chiave

Ci portiamo via, chiuso questo libro, alcuni concetti-chiave che vogliamo fare nostri e approfondire (anche con l’autrice, se vorrà):

1. Autonomia = Emancipazione
C’è un concetto su cui l’Autrice insiste, che ci trova molto d’accordo, di cui si parla e si scrive poco, e di cui la politica si occupa ancora meno: non esiste emancipazione, cioè passaggio alla vita adulta, senza autonomia. Autonomia intesa come l’insieme delle condizioni materiali di indipendenza (o meglio, di non dipendenza) dalla famiglia. Un/a giovane che, pur lavorando 8-10-12 ore al giorno, non riesce a soddisfare i propri bisogni materiali (affitto, bollette, cibo, vestiario), semplicemente non è autonomo/a. Non è choosy. Non è un bamboccione.

2. Ci vogliono “ritardati”.
Il ritardo nel conseguimento dell’autonomia da parte dei giovani Italiani non è dovuto agli individui, ma al sistema-paese che lo ritarda, spesso consapevolmente. Lavoratori ed esseri umani autonomi (leggi sopra) diventano “magicamente” sempre meno inclini ad accettare “tirocini”, “stage”, contratti precari, e soprattutto le condizioni di lavoro che li accompagnano.
Qui sta il punto: l’economia Italiana, sclerotizzata nelle logiche padronali e antistoriche di tantissime micro, piccole e medie imprese, non può permettersi che i giovani diventino autonomi. La produttività del lavoro è troppo bassa per ragioni di scarsa innovatività e anzianità (più mentale che biologica) di tantissimi imprenditori e dipendenti, e il costo del lavoro troppo alto: si è scelto (non ieri, almeno una ventina di anni fa) che a pagare la differenza dovessimo pensarci noi.

3. Non ne esci da solo/a.
C’è un paradosso di fondo che abbiamo letto tra le pagine del libro e ci ha colpito: l’autonomia non si conquista da soli. Questo perché le condizioni sociali, politiche ed economiche, cioè il framework in cui un gruppo di individui nasce e si forma, da solo non basta a creare unità generazionale, consapevolezza cioè dei propri valori e della propria forza riformatrice.
A parole nostre: in Italia, contro i giovani, è in corso una guerra. Da almeno vent’anni. E la stiamo perdendo. E la stiamo perdendo perché combattiamo ognuno per suo conto, contro un esercito schierato compatto.


Consigli per gli acquisti

Come avrete intuito, il libro noi ve lo consigliamo caldamente.
Potete acquistarlo qui su Amazon, o in qualsiasi altro store online o libreria. Costa in media 11-13 euro (più eventuali spese di spedizione) e secondo noi sono soldi ben spesi.

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Sempre di domenica

Prima delle elezioni, la situazione intorno all’equità generazionale e al contrasto al discorso d’odio si fa sempre piuttosto “calda”.
I politici, e a questo direi che siamo abituati, quando hanno bisogno di voti iniziano a strillare verso il loro gruppo target. 
Quello che, da qualche anno a questa parte, sta diventando preoccupante per noi di Eutopia, è che tanti, tantissimi, stanno strillando insulti e minacce a capri espiatori di vario tipo, per far contenti i propri potenziali elettori e soddisfare i loro stereotipi e pregiudizi.
Pensate, ad esempio, a quante se ne raccontano su/contro i giovani, alla narrazione costante sui millennials choosy e impreparati al mondo del lavoro. In TV e sui giornali, le testimonianze di “povere Aziende” che cercano lavoratori e non li trovano (perché i giovani non hanno voglia di lavorare) si moltiplicano. Noi sì che ai nostri tempi facevamo la gavetta!
La realtà, secondo noi, è semplicemente un’altra: l’Italia diventa un Paese sempre più vecchio e stanco, senza nessuna forza né intenzione di rendere migliore alcunché. Chi fa marketing politico lo sa e ci spara sopra per raccogliere consensi: guardate quanto sono cattivi questi immigrati, guardate quanto sono imbecilli questi giovani!
Pare che tutto ciò che non va nel presente sia sempre colpa di chi non piace al loro elettorato anzianotto e razzista, abituato a mangiarsi il futuro e rimasto senza più futuro da mangiare.
Ma noi resisteremo anche a quest’ondata di hate speech e di consapevoli bugie sull’Unione Europea, come anche sui giovani, sulle loro condizioni di vita e di lavoro.
E ci toccherà resistere anche a chi urla al Fascismo e alla violazione delle regole democratiche solo quando gli conviene, per guadagnare i voti impauriti di chi abbraccia i valori della convivenza civile e della solidarietà.
Siamo consapevoli che, dopo il 26 Maggio, i politici andranno ad afferrare le loro poltrone, e di tutti gli strilli che hanno affollato queste settimane non rimarrà che l’eco, pericolosa e subdola, di idee sempre più retrograde, e tecniche di marketing sempre più avanzate.
Noi, nel nostro piccolo, saremo ancora impegnati a cercare di smascherare quelle idee per ciò che sono (stereotipi e pregiudizi) e tentare di decodificare le subdole tecniche che le diffondono.

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